logo editorialeCon la nomina di Carlo Cottarelli (dirigente del Fondo Monetario Internazionale) a commissario per la revisione della spesa pubblica, la realtà quasi supera la fantasia: il commissariamento della politica economica italiana da parte delle organizzazioni sovranazionali assume caratteristiche sempre più esplicite.

Non è dato sapersi perché un governo abbia bisogno di un commissario per svolgere un compito proprio di un ministro. La cosa si può però facilmente intuire: si cerca di rendere il lavoro e le proposte del commissario "indisponibili" per le parti politiche, chiamate infine ad un'approvazione formale (perché pur sempre di leggi si tratta, dunque da votare in Parlamento), ma non di merito. Persino il governo di Mario Monti ritenne necessario affidarsi ad un tecnico ancora più tecnico degli altri (dove tecnico non è più sinonimo di competente, ma di estraneo alle dinamiche istituzionali) per la revisione della spesa. Ma né la qualità di Enrico Bondi, né l'essere un tecnico al quadrato, poterono far altro che graffiare il pachiderma della spesa. Può Carlo Cottarelli far di meglio? Solo ad alcune condizioni.

La prima, imprescindibile, è il tempo a disposizione. Il piano Cottarelli avrà qualche chance di essere implementato solo se da qui alla prossima estate il governo Letta proseguirà la sua navigazione. Le nuvole all'orizzonte sono scurissime e forse il peggior nemico di Letta è il prossimo segretario del PD, non Berlusconi o Grillo.

La seconda, fondamentale, dovrebbe essere la non-negoziabilità del saldo finale dell'operazione di revisione. Il ministro Saccomanni ieri ha parlato di 32 miliardi di euro in un triennio (dal 2014 in poi): non è la cifra rivoluzionaria di cui ci sarebbe bisogno ma è un obiettivo ambizioso, perché si prova a mettere le mani in un piatto pericoloso, quello della PA e del personale, senza la logica miope e controproducente dei tagli lineari. Con i sindacati o gli altri portatori di interessi specifici si può negoziare al rialzo, ma non al ribasso.

Come terza condizione, è poi opportuna la non-esclusività del lavoro del commissario rispetto alla riduzione della spesa pubblica. Se si vuol davvero dare respiro all'economia italiana, attraverso il taglio del carico fiscale sul lavoro e sulle imprese, il piano di spending review non sarà sufficiente: il governo Letta dovrà scegliere di fare molto altro e molto di più. I moniti che arrivano dalla Commissione Europea sono solo le prime avvisaglie di una situazione che potrebbe deteriorarsi più rapidamente del cronoprogramma di Cottarelli. Le privatizzazioni, ad esempio, meritano una corsia preferenziale, perché la quantità di gettito fiscale assorbita dalla spesa per interessi sul debito è abnorme.

Infine, nonostante tutti i tentativi di "schermare" il piano dalla dinamica politica, questo avrà successo proprio se i partiti della maggioranza parlamentare del governo Letta assumeranno su di sé la piena responsabilità politica delle scelte proposte da Cottarelli. Questa è la quarta condizione. La separazione tra tecnica e politica è una pia illusione, soprattutto se è coltivata dalla politica come tentativo di elusione dalla gestione dei problemi concreti.