In questi giorni sembra che ci sia una lotta tra libertà d'espressione e libertà religiosa. La memoria corta è uno dei mali maggiori di questo tempo: non molti ricordano, infatti, che la libertà d'espressione ha matrici religiose. L'esigenza di poter dire quel che si vuole — sulla religione, nello specifico — nasce parallelamente in ambito ebraico e protestante.

Religione liberta grande

Le radici ebraiche
Nell'ebraismo esiste un'ermeneutica diversa da quella classica, di derivazione greca: non esiste infatti una sola verità che ne esclude altre. Senza scomodare il Talmud, basti pensare alla barzelletta dei due studenti rabbinici che vogliono fumare una sigaretta mentre il loro compito è studiare. Il primo chiede al maestro: «È lecito fumare mentre si studia la Torah?» «Ma cosa ti viene in mente? Quando si studia la Torah, si studia la Torah e basta!»; il secondo chiede «Mentre si fuma, è lecito studiare la Torah?» «Certo che è lecito: è sempre un buon momento per studiare la Torah, anche mentre si fuma!»

L'indole anti-idolatrica ebraica si traduce nell'impossibilità di possedere Dio e, di conseguenza, la verità: Dio è la verità, ma non è in mano tua. L'episodio del vitello d'oro (Esodo 32) in cui Mosè non offre le tavole della Legge su cui il dito di Dio ha scritto i dieci comandamenti al posto dell'idolo che si erano costruiti gli israeliti nel deserto, ma distrugge sia il vitello sia le tavole è indicativo di questo atteggiamento: l'essere umano non è in grado di maneggiare la verità, perché ne abuserebbe.

Le radici protestanti
Il protestantesimo non sorge con un pensiero così radicale, perché resta figlio della cultura greca e viene prodotto in quell'ambiente culturale che donerà all'umanità l'erede moderno della cultura filosofica greca: la Germania. Non è un caso che non solo la Riforma e la Chiesa di Roma si svilupperanno come esperienze ecclesiali incompatibili — non umanamente né spiritualmente, ma ecclesialmente: protestanti e cattolici non possono condividere l'eucaristia né i propri ministri di culto —, ma che all'interno stesso della Riforma si formano delle dialettiche fortissime. La Riforma luterana e quella svizzera vivranno separate fino al 1975 con la firma della Concordia di Leuenberg: Lutero diceva che si sarebbe messo d'accordo piuttosto con i "papisti" che con gli svizzeri.

Eppure la negazione del magistero della Chiesa, l'affermazione della libertà di coscienza e di interpretazione del testo sacro, apre le porte alla frammentazione e alla diversificazione di pensiero su Dio, sull'uomo, sul mondo. Il passaggio intermedio è il principio Cuius regio eius religio, ovvero la libertà di religione è da intendere come libertà del principe di scegliere tra protestantesimo e cattolicesimo. Il popolo può scegliere il principe e tra gli stati tedeschi ci fu un drammatico scambio di popolazione che ricorda quello tra India indù e Pakistan islamico nel XX secolo.

A molti però non andava bene neanche la scelta obbligata tra sole due opzioni: gruppi minoritari, singoli individui — che Lutero bollava col nome di Schwärmer, ovvero entusiasti, sognatori, ma anche estremisti e visionari — tentarono di resistere, ma alla fine dovettero emigrare al di fuori dell'Impero. Pur con le sue particolarità, una cosa simile avvenne per i "non-conformisti" inglesi, che non aderirono alla Riforma anglicana. Poi, nello specifico, le lotte di religione portarono in Inghilterra alla tolleranza religiosa diffusa, eccetto per i cattolici che erano discriminati come potenziali regicidi grazie alla fatwa del papa, che prometteva il paradiso a chi avesse ucciso Elisabetta I e i suoi discendenti.

I gruppi protestanti minoritari furono felicemente espulsi dall'Europa, da sempre amante dell'uniformità — almeno all'interno di uno stesso stato, se non addirittura di uno stesso borgo — ed emigrarono nelle colonie britanniche americane. Ecco perché il paese che riconosce maggiormente la libertà d'espressione sono gli Stati Uniti d'America. La diversa composizione etnica e religiosa del neonato popolo americano rivoluziona il concetto stesso di popolo: non conta il sangue né la fede, ma il patto di convivenza tra individui liberi. Certo, lo sterminio degli autoctoni, la schiavitù degli africani e la successiva segregazione: le recenti tensioni di Ferguson e New York mostrano che nulla è perfetto nella storia umana, tantomeno la storia americana. Tuttavia, se vogliamo individuare le fondamenta moderne della libertà d'espressione, queste sono individuabili dall'incontro delle due culture religiose protestante e ebraica in Inghilterra e, soprattutto, negli USA.

La patria del politically correct
Un giornale come Charlie Hebdo non sarebbe però pensabile in America. Non perché censurato dalle autorità, ma perché non sarebbe in grado di farsi comprendere dal pubblico, non venderebbe e non riceverebbe sovvenzioni. Negli USA la libertà si è andata a formare a partire dalle religioni dei cittadini e non contro la religione di stato, come in Francia. Charlie Hebdo non avrebbe mercato in America e lì il mercato decide. Non le banche, non le multinazionali, ma il cittadino che sceglie se spendere i propri soldi in una cosa che gli interessa o no. Pur essendoci anche questioni di opportunità, questa è la più profonda spiegazione del perché il giornalismo anglosassone non ha pubblicato le vignette del settimanale francese.

La libertà d'espressione è talmente radicata in America che la famigerata Westboro Baptist Church, una comunità fondamentalista cristiana, può passare il suo tempo a scorrere i necrologi dei militari caduti in guerra per poter poi picchettare il funerale con cartelli su cui scritto che Dio punisce gli USA a causa degli omosessuali. L'url esplicito del suo sito godhatesfags.com ("dio odia i froci") fa intuire cosa sia scritto su quei cartelli. Oltraggiante e inaudito, ma libero, e i cittadini sono invitati a rispondere essi stessi all'odio del gruppo esprimendosi diversamente: Vicky Beeching, una cantante cristiana e lesbica, è andata da loro dicendo «Dio ama anche voi» e il comico Jon Stewart ha detto nel suo show televisivo di essere disposto a pagare il biglietto aereo in prima classe per tutti i membri della chiesa di Westboro che volessero andare dove c'era bisogno di lottare per i valori cristiani, cioè nelle terre controllate dall'ISIS.

Com'è possibile che questo avvenga nella patria del politically correct? Tale concetto a noi europei appare bizzarro e a tratti pericoloso, perché chi decide del "politically" sono i politici: difficile che il politicamente corretto in Europa non diventi censura dello stato. In America non c'è la censura dall'alto, ma viene promossa l'autocensura. In altre parole, vige il concetto protestante di "libertà nella responsabilità": sei libero di dire quel che vuoi, ma poi ne paghi le conseguenze. Tali conseguenze non sono l'attacco militare di un gruppo terrorista alla redazione di un giornale, ma il pubblico disprezzo, che può portare all'espulsione sociale. Si può fare una vignetta contro Obama, ma se lo raffiguri come una scimmia, sei un razzista e la tua parola varrà d'ora in poi valutata in base al fatto che sei razzista.

Nella patria del politicamente corretto la responsabilità della libertà d'espressione è dell'individuo, che potrà osare fin dove potrà reggere l'impatto di quanto da lui detto. E qui entra il diritto di satira di cui tanto si parla in questi giorni. Una volta l'attore Robin Williams in tournée in Europa venne intervistato da una tv tedesca. L'interlocutore gli chiede: «Ma come fa a essere così divertente? Noi non siamo capaci di essere così divertenti!» Risposta: «Ce l'avevate gente divertente, ma ve ne siete sbarazzati!» Tabù dei tabù. Il pubblico ha determinato che la reputazione di Williams non era intaccata da questa battuta, le vittime della Shoah non si sono lamentate e il target della battuta (i tedeschi), be', hanno incassato.

Nel suo film di debutto del 1968, The Producers (orrendamente tradotto in italiano con Per favore non toccate le vecchiette), il comico ebreo americano Mel Brooks racconta la storia di due impresari di Broadway che vogliono mettere in scena il peggior spettacolo del mondo, per farlo andare in bancarotta e scappare con la cassa. Scelgono Primavera per Hitler, opera di un folle nazista tedesco immigrato a New York. Il film è geniale e il fatto stesso che un ebreo sia sopravvissuto a Hitler per sbeffeggiarlo è l'affermazione della sconfitta del Führer. Alla domanda: «Lei cosa direbbe a un sopravvissuto dell'Olocausto che si sentirebbe offeso da questo film?», Brooks rispose: «Non direi niente. Un sopravvissuto dell'Olocausto ha tutto il diritto di sentirsi offeso dal mio film e io dovrei accettarlo». Libertà nella responsabilità.

Un binomio inscindibile
Nel 2005 il governo Blair, su richiesta di alcuni gruppi religiosi, aveva in progetto di introdurre il reato di odio religioso. Era un momento storico molto simile all'attuale. L'omicidio Van Gogh in Olanda — altra patria della libera (e diretta!) espressione — aveva destato più stupore che indignazione. Gruppi sikh avevano picchettato un teatro che programmava un dramma dove una donna veniva violentata all'interno di un gundwara (un tempio sikh), lo spettacolo venne ritirato e i biglietti rimborsati. La polemica contro la chiesa cattolica per le violenze sui minori toccava un livello molto aspro. La chiesa anglicana era possibilista sul progetto Blair, ma tutto sommato restava in disparte nel dibattito.

Quel progetto fu affossato grazie all'impegno di due gruppi agguerritissimi, che apparentemente nulla avevano a che fare tra loro. Il primo era formato dai comici, gli operatori dello spettacolo, capitanati da Rowan Atkinson, noto in Italia per gli sketch di Mr. Bean, molto considerato nell'ambiente culturale britannico. Tra l'altro pronunciava una "bestemmia imperdonabile" in Quattro matrimoni e un funerale, quando impersonava il pastore pasticcione che pregava «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spiritoso Santo» (in originale, «The Father, the Son and the Holy Goat», "capra" invece che "Ghost"). In Matteo 12,31 Gesù sentenzia: «ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata».
Il secondo gruppo era costituito dalla galassia delle chiese evangeliche di tendenza fondamentalista, che temevano di non poter più attaccare dal pulpito le altre chiese nell'ambito della loro predicazione.

La strana e scalcinata coppia vinse: il disegno di legge fu affossato. I due gruppi di pressione, che non collaborarono mai e che probabilmente non si piacevano, testimoniavano però di aver capito una cosa: la libertà di religione e la libertà d'espressione vanno a braccetto. Non c'è l'una senza l'altra.

Nell'Europa continentale della censura facile, in paesi dove non si fanno film su figure politiche e religiose in carica, in nazioni che hanno vissuto la politica anche come espressione di violenza collettiva, questo è difficile da assimilare. E guarda caso sono le stesse nazioni che hanno vissuto fino a pochi anni fa una certa omogeneità religiosa, conquistata a botte di crociate, pogrom ed espulsioni di massa. Sono i paesi dove si vaneggia sui fantomatici "diritti della maggioranza", come se il diritto non si fondasse proprio sulla necessità di difendere le minoranze dalla forza della maggioranza.

Eppure non c'è un'altra strada pacifica: rispetto del patto costituzionale, libertà di religione, libertà d'espressione. Solo così si esce dalla follia che ci ha così turbato in questi giorni.