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"L’articolo 580 cp citato tutela il bene della vita come bene indisponibile appartenente all’intera comunità”. La vita personale come bene collettivo, niente di meno. Pura cultura (italiana) anni ’30.

È decisamente da leggere e da meditare l’atto di intervento del Governo Gentiloni nella questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. (Istigazione o aiuto al suicidio), sollevata dalla Corte d’Assise di Milano nell’ambito del processo che vede imputato Marco Cappato per l’agevolazione del suicidio di Fabiano Antoniani (Dj Fabo).

Ne vale la pena, in primo luogo, perché è un esempio della spoliticizzazione delle responsabilità giuridico-istituzionali del Governo e della sua burocratica ruolizzazione a difensore dell’esistente, di qualunque “esistente”, come se l’evoluzione nell’interpretazione delle norme e della loro costituzionalità fosse una patologia del sistema e non un segno della sua complicata vitalità.

C’è da credere che – mutatis mutandis – abbia avuto più prudenza e lungimiranza dell’attuale governo quello che cinquant’anni fa evitò di costituirsi nel giudizio sull’articolo 559 del codice penale (adulterio), che cancellò finalmente un reato solo femminile (puniva le adultere e non gli adulteri), malgrado pochi anni prima la stessa Consulta ne avesse confermato la piena costituzionalità. Prudenza, dico, per il fatto di considerare che la trasformazione del costume civile e le nuove acquisizioni di diritto mutano anche il quadro della compatibilità e incompatibilità costituzionale di norme maturate in contesti storici remoti e, più o meno integralmente, traslocate nei codici vigenti.

Chi legge con attenzione l’atto di costituzione del Governo – che sarà scrupolosamente smontato dal collegio difensivo di Marco Cappato – si accorge che, lungi dal rappresentare un atto di presenza obbligata e routinaria in un giudizio della Consulta, quella vergata dal vice avvocato generale dello Stato Gabriella Palmieri è una dichiarazione di guerra contro tutta la giurisprudenza recente sul fine vita (dal caso Englaro a quello Welby) e contro la forza espansiva della legge sul cosiddetto "testamento biologico", recentemente approvata, che, pur non legalizzando l’assistenza al suicidio, consente a chiunque di predeterminare le condizioni entro le quali accettare o meno trattamenti sanitari e dunque di subordinare il bene vita a valori di dignità e libertà personale, che sono sottratti a qualunque sindacato collettivo.

Il giudice rimettente aveva chiesto alla Corte di valutare se fosse costituzionalmente legittima la contestazione dell’aiuto al suicidio di un malato gravissimo, nel caso in cui – come è stato per Dj Fabo – l’aiuto prestato avesse materialmente agevolato, ma non rafforzato la sua determinazione “suicida”. L’Avvocatura dello Stato ha risposto decontestualizzando la questione dal quadro giuridico e deontologico in cui la materia del fine vita è stata recentemente ordinata e ribadendo il disvalore del suicidio in generale, come se, tra il caso di Piergiorgio Welby e quello di Fabiano Antoniani, secondo gli schemi dei codici fascisti, che l’avvocatura dello Stato sembra prediligere, l’uno potesse davvero essere considerato “meno suicida” dell’altro e quanti hanno agevolato la volontà di entrambi diversamente responsabili della loro morte.

Questo, infatti, è il nodo: perché è legittimo togliere il respiratore a Piergiorgio Welby e consentirgli di morire (malgrado fosse ancora possibile tenerlo in vita per lungo tempo e non fosse, clinicamente, un malato terminale), e non è legittimo assistere un malato che versi nelle stesse o addirittura in peggiori condizioni, se quest’ultimo non ha la fortuna di potere morire senza dolore semplicemente attraverso la sospensione delle cure (la cosiddetta eutanasia passiva), che comunque comporta un’assistenza sanitaria, ma ha bisogno di un intervento di natura tecnicamente diversa (eutanasia attiva o suicidio assistito)?

E per tornare al principio: perché il Presidente del Consiglio dei Ministri sottoscrive questa interpretazione arcaica ed eticizzante del diritto alla vita come limite al principio di autodeterminazione del paziente, che quando l’articolo 580 del codice penale venne scritto, cioè nel 1930, semplicemente non esisteva, perché non esisteva neppure la Costituzione in base alla quale questo diritto progressivamente iniziò a essere riconosciuto? Si può accettare da Paolo Gentiloni e da Andrea Orlando un atto in cui un diritto costituzionale è interpretato alla luce del codice penale fascista? Cos’è: involontario o inconsapevole adeguamento al “nuovo” spirito dei tempi?

@carmelopalma