Libro Cappato

Chi di noi ha mai fatto un digiuno, una disobbedienza civile o un’azione nonviolenta per affermare un diritto che lo Stato ci nega? Io mai. Le leggi ingiustamente proibizioniste, contrarie alla nostra facoltà di autodeterminazione, le subiamo protestando o le violiamo senza autodenunciarci, ma non è la stessa cosa.

La violenza del regime provoca frustrazione, non forza. L’ipocrisia del potere, la meschinità di chi vi aspira, paralizzano. Il Potere proibizionista e liberticida è violento non per eventualità, lo è per definizione. La nonviolenza è invece l’arma della Ragione, del Diritto, della Scienza: è un’arma politica, alla portata di tutti, e presuppone appunto che ciascuno si assuma l’onere di farla propria.

Marco Cappato rischia fino a 12 anni di galera per aver permesso a Fabiano Antoniani - tetraplegico, cieco - di esercitare una facoltà che chiunque, mobile e vedente, è nelle condizioni di poter auto-determinare. Cappato ha aiutato Fabo per impedire che lo Stato proibizionista si accanisse contro la famiglia del dj milanese, qualora fossero state la compagna Valeria e la mamma Carmen a doversi assumere la responsabilità dell’ultimo viaggio del fidanzato e del figlio, in Svizzera.

Fabo voleva interrompere la sua non-vita. Era fisicamente impedito a provvedere da sé. La legge italiana però non riconosce ancora il diritto all’eutanasia. Una proposta compiuta di legge c’è, un’iniziativa popolare, ma giace da oltre quattro anni in Parlamento per irresponsabilità e codardia delle consorterie partitiche. Lo Stato ovviamente sa che chi può, chi ha i mezzi materiali e intellettuali, il diritto all’eutanasia se lo garantisce da sé, ma per tutti gli altri se ne frega.

Cappato si assume il rischio di perdere libertà e diritti politici per garantire la libertà e i diritti civili di uno sconosciuto - solo uno dei tanti che ogni giorno, ogni anno, si rivolge ad associazioni come Sos Eutanasia per chiedere non di essere aiutati a morire ma di poter essere liberi di decidere della propria vita fino alla fine, e di non essere privati di questa libertà solo perché fisicamente incapaci di provvedervi da sé. Dunque, perché Cappato ha sfidato lo Stato? La risposta giusta è: “per farsi pubblicità!” 

Se il fine vita, l’eutanasia, il suicidio assistito, sono diventati temi politici lo si deve alla evidenza pubblica che persone come Piergiorgio Welby, il papà di Eluana Englaro, Dj Fabo hanno voluto dare ad una condizione di malattia artificialmente resa prigione. Nessuno Stato può imporre ad un individuo libero un ergastolo sanitario: questa è la battaglia per la dignità del fine vita. E’ una battaglia del Diritto contro la superstizione, è la difesa dei più deboli dall’arbitrio dei più forti.

La disobbedienza civile - scrive Marco Cappato in “Credere, disobbedire, combattere” appena uscito per Rizzoli - è conoscenza. Nel senso che non funziona se non è pubblica, conosciuta. Nel senso che serve essa stessa a produrre consapevolezza. Infine, nel senso che mette in discussione idee acquisite, con un processo simile a quello della ricerca scientifica”.

La ricerca scientifica è un metodo di acquisizione progressiva di conoscenza basato su ipotesi e verifica delle ipotesi: un processo di accrescimento continuo, che non presuppone una verità, una tesi da affermare o conformare ad un apparato ideologico dato. La scienza si basa su fatti misurabili, non opinioni. Avanza gradualmente, ma inesorabilmente, nella conoscenza di cui poi beneficiamo tutti.

Il sapere scientifico dunque è nonviolento per sua natura: non ha nemici da abbattere - altri nemici che non siano i ciarlatani, quelli cioè che subordinano i fatti all’ideologia o all’interesse materiale personale. Ciononostante il Potere proibizionista si accanisce anche contro la scienza, e proibisce la ricerca là dove le prove contrastano con la superstizione. E la superstizione è violenza.

Le coltivazioni geneticamente migliorate rendono possibile produrre cibo con minor impatto sull’ambiente, eppure è la violenza pseudo-ambientalista e la menzognera “cautela” anti-scientifica del Potere che ancora oggi proibiscono in Italia di fare ricerca e sperimentazione per migliorare la sostenibilità delle nostre produzioni agricole.

Le “droghe”, naturali e sintetiche, sono farmaci potenziali a cui la scienza si applica da decenni in condizioni di semi-clandestinità, e che solo la superstizione, il perbenismo proibizionista impediscono di valorizzare, sviluppare, mettere al servizio della medicina per curare patologie oggi non altrimenti curabili.

Ed è sempre la superstizione ad armare la repressione violenta del Potere contro le sostanze “proibite” - proibite? sono ovunque, molto più accessibili di un qualunque taxi a Roma. Un accanimento che fa ormai più tenerezza che paura. Ad ogni nuova iniziativa di disobbedienza civile dei Radicali - l’ultima di cui sono testimone a Milano, Colonne di San Lorenzo, la più centrale e nota piazza di spaccio della città - con la Digos regolarmente avvertita, con i media convocati, campagne pubbliche fatte, puntuale arriva il verbale di sequestro e la denuncia ai disobbedienti per istigazione al consumo, o addirittura alla coltivazione della pianta pericolo numero uno: la Cannabis!

Di fronte ad un Potere così vulnerabile da non saper ricorrere ad altro strumento se non la repressione, la nonviolenza - se vogliamo anche l’ironia - diventa l’arma che ciascuno di noi può sfoderare con la ragionevole certezza ogni volta di riuscire a colpire. Ci vuol forza interiore, certo. Distacco, lucidità. E ci vuole un obiettivo che non è sconfiggere il nemico ma costringerlo a guardare dentro di sé, le ragioni delle sue azioni e le conseguenze concrete di quelle azioni. Metterlo insomma di fronte alla sua stessa assurdità. Prima o poi si arriva.

Nonviolenza è anche accettare il rischio che invece il Potere non voglia farsi convincere. Questo è il rischio che corre Cappato a processo: che il Diritto possa essere agito contro di lui, dunque contro tutte le persone che vogliono poter esercitare la propria auto-determinazione. Perché è questo nostro diritto, un diritto di ciascuno, che verrebbe negato. Questo diritto - l’auto-determinazione - lo esigiamo tutti. Il rischio che individualmente corre il disobbediente radicale, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, dunque, è in realtà il rischio che collettivamente corriamo tutti noi. Sta quindi a ciascuno di noi contribuire ad affermarlo.

E’ cioè indispensabile che noi, “gente ordinaria”, di fronte ad ordini ingiusti, si “provi a disobbedire ed essere felici”. 

@kuliscioff