giustizia1

Non riesco in nessun modo a trovare interesse per l'orribile vicenda dei ragazzi stuprati a Rimini. Non riesco a trovarne per qualsiasi omicidio, rapina, efferatezza che non abbia di per sé rilevanza pubblica.

Ovviamente parlo di interesse politico, non di interesse umano, che c'è per solidarietà, ma che non vedo perché dovrebbe spingermi a commentare, ricercare, esprimermi. Anzi, dal punto di vista politico trovo che quelli di cronaca siano temi repulsivi. Perché, sistematicamente, quando i "casi" entrano nel dibattito politico si ottiene il duplice effetto di abbassare il livello di tale dibattito e, per di più, di inquinare il percorso della verità giudiziale.

Ritengo che i polveroni mediatici sollevati ogni volta siano solo il prodotto del rimestarsi di una fetida melma fatta di "gente" che esprime l'umano desiderio di impiccare al ramo più alto i criminali, giornalisti che trovano argomenti su cui speculare, politici che trovano occasioni facili per darsi un ruolo dalla parte della ragione (se non addirittura per capitalizzare consenso politico), social che diventano balconate di paese.

E allora, giù di commenti sulla nazionalità dei criminali, e i giornali che sottolineano il fatto che fossero immigrati o non lo sottolineano abbastanza, e però c'è anche da dire che neanche le vittime erano italiane, e poi le frasi del genio di turno che dice che le donne stuprate godono come in un rapporto normale dopo i primi istanti di disorientamento: anche quelle diventano un caso pubblico, in quanto il tizio lavora come "mediatore culturale" nella tale cooperativa bolognese. Il tutto, poi, custodito sotto la splendida foglia di fico del disgusto per il crimine, della solidarietà umana per le vittime, della povera gente che chiede sicurezza, dell'immigrazione che va regolamentata. Come no.

Capita, in questi momenti, di pensare alla silenziosa dignità dei manuali di penale contrapposta allo strepitare dei telegiornali: dei tanti autori che ho dovuto leggere, da modesto studente di giurisprudenza quale sono, non ce n'era uno che non si lamentasse del populismo penale, di una legiferazione d'emergenza su emergenze inventate, di riforme piegate al consenso. E, se hai investito seriamente in questo tipo di studi, sai che tutto nasce da rituali come questo, e sogni una politica che, senza scadere in un cinismo elitario, per una buona volta se ne infischi delle paure della povera gente e dia il giusto rilievo al dato reale.

Pensi a tutti quegli altri casi di cronaca in cui l'ossessione giornalistica ha brutalmente influenzato il percorso delle indagini, in un senso o nell'altro, o addirittura le ha determinate. È facile, per esempio, trovare sui siti istituzionali il numero di bambini scomparsi: chissà cosa pensano i loro genitori nel vedere al telegiornale l'impiego di mezzi abnormi per risolvere i pochi casi analoghi al loro, che però hanno avuto la "fortuna" di finire sotto i riflettori. O ancora, pensi ai dati e alle statistiche che indicano chiaramente come la criminalità sia in calo mentre, chissà come mai, la percezione dell'opinione pubblica è opposta. Forse per via di quella gran parte del giornalismo troppo concentrata a raccontare i particolari più scabrosi dei singoli casi per ricordarsi di riportare il quadro "macro", l'unico che dovrebbe rilevare davvero.

Forse l'unico modo per non reggere questo gioco al massacro sarebbe non partecipare, non intervenire. Ma giustamente chi fa politica davvero, chi non si limita a scrivere su social o giornali online, deve vivere e galleggiare in mezzo alla realtà delle persone. Rivendica la necessità, in una certa misura, di commentare, dare risposte, mostrarsi partecipi: accettare (per non addirittura fomentare) la rilevanza politica di casi come quello di Rimini. E sarebbe stimabile un politico che affrontasse gli inevitabili aspetti sociologici che emergono dalla vicenda con dichiarazioni sobrie, laiche, lucide, senza inseguire agitazioni di qualsiasi tipo.

Ma ancora di più sarei pronto a stimare un politico che riconoscesse la rilevanza politica del più ampio stupro di gruppo che stiamo perpetrando contro la giustizia. Perché, oltre alla lucidità, servirebbe il coraggio: ammesso che, poi, fra i due ci sia veramente differenza.