Sono bastati otto mesi di pontificato a Jorge Mario Bergoglio per essere indicato dal Time come uomo dell’anno. Tra Benedetto XVI e Francesco esiste una rilevante continuità dottrinale. Nessuna rivoluzione quindi, casomai una opportuna e significativa rimodulazione del registro comunicativo.

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Papa Francesco, secondo il settimanale di informazione Time, è l'uomo dell'anno. Sono bastati otto mesi di pontificato a Jorge Mario Bergoglio per ottenere questo prestigioso riconoscimento, attribuito da un news magazine non certo contiguo al mondo cattolico e pubblicato in una nazione in cui la Chiesa di Roma ha avuto evidenti problemi dovuti allo scandalo della pedofilia.

Secondo Time, Francesco  “parla dei poveri, dei disperati, degli immigrati; (...) vuole la Chiesa come un ospedale da campo per curare le ferite di chi soffre, delle vittime di tutte le guerre, degli ultimi; (…) vuole lui stesso una Chiesa povera, vicina ai poveri (… e) denuncia continuamente lo scandalo della fame”. Si tratta dunque di un riconoscimento che parte dalla predicazione sociale del Pontefice, in cui è evidente un'attenzione alla povertà – materiale e spirituale – che affligge una buona parte dell'umanità: tematica che appare  assolutamente prioritaria – almeno per l'eco  che riscontra nei media -  rispetto a quella relativa al ruolo del cattolicesimo nella costruzione dell'identità occidentale spesso richiamata da Benedetto XVI. È del resto notevole che anche The Advocate, voce storica della comunità gay-lesbica nordamericana, abbia assegnato a Francesco il titolo di Man of the Year. Particolarmente significative, secondo il news magazine statunitense, le parole del Papa sugli omosessuali nella celebre intervista di luglio di ritorno dalla GMG brasiliana: parole che in realtà rientrano perfettamente nella tradizione dottrinale espressa dal Catechismo della Chiesa cattolica, ma che evidentemente sono state pronunciate con modalità che hanno saputo enfatizzare la condanna di ogni tentazione omofoba o discriminatoria all'interno della comunità ecclesiale.

In realtà, al di là di ogni banalizzazione dei media, tra Benedetto XVI e Francesco esiste una rilevante continuità, che si dipana – anche e soprattutto - a livello dottrinale. Francesco è – per nascita, formazione e cultura – un chierico sudamericano. E' del tutto evidente che non solo la sensibilità nei confronti della realtà che lo circonda, ma anche la preparazione che ne costituisce il bagaglio dottrinale vengono da un orizzonte che offre prospettive diverse rispetto a quello di Joseph Ratzinger.

E' noto che in Centro e Sudamerica, dopo l'omicidio di Oscar Arnulfo Romero, la Chiesa cattolica si è sovente accreditata come una forza sociale anticostantiniana capace di denunciare l'oppressione e le disuguaglianze prodotte da molti regimi nazionali. Le severe discussioni intorno alla Teologia della Liberazione non hanno impedito un costante e rinnovato sforzo di tutte le realtà ecclesiali dell'America Centrale e Meridionale in favore dei poveri, degli esclusi, degli indios; sforzo che si deve anche all'azione ed alla predicazione di molti Vescovi che non hanno mai avuto Boff o Gutierrez come punti di riferimento dottrinale. Del resto, chi conosce di Chiesa non può negare che l'esperienza del fondamentale seminario di studio "Il futuro della riflessione teologica in America latina" (1996)  abbia influenzato Jorge Mario Bergoglio nella sua opera opera di costruzione e sviluppo di una teologia politica fatta in modo peculiare di attenzione alla povertà e di ricerca di un modello di economia a misura d’uomo.

Questo non impedisce però di trovare delle linee di continuità tra il pensiero di Benedetto XVI e quello di Francesco: linee di continuità che appaiono evidenti nella recente esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, che offre ai fedeli cattolici un'evocativa visione della fede come virtù liberante: non un complesso arido ed inutile di regolette e divieti da mandare a memoria, ma una risposta di senso alla chiamata di Dio, una virtù capace di conferire gusto e sapore all'esistenza terrena (nn. 2-8).

Torna, nella “Evangelii Gaudium”, un'idea centrale di Benedetto XVI destinata a divenire punto focale anche della speculazione teologica di Francesco: “non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,15). La fede non può non avere una dimensione pubblica, non può non essere testimonianza – feconda e vitale – della centralità di Cristo crocifisso e risorto nella storia del genere umano. Ecco che la pastoralità di Francesco, la sua capacità di contatto umano, la sua dolcezza di cuore, non sono – né possono essere – banalmente i frutti di un “carattere mite”, ma sono costante realizzazione di un obbligo di testimonianza della fede cristiana che deve essere parte integrante della vita del fedele. Francesco comunica con chiarezza che la fede non può essere vissuta bigottamente come rispetto cieco e moralistico di precetti astrusi, ma richiede l'impegno personale di ciascun battezzato all'amore nei confronti del prossimo, manifestato in modo evidente affinché ogni cristiano possa entrare in comunicazione con una realtà fortemente secolarizzata.

Ma c'è un'altra, evidente dimensione dottrinale che emerge dall'inizio di questo pontificato. Il sacerdozio comune dei fedeli, la necessità per tutti i cristiani di essere luce del mondo non può essere vissuta con superbia, ma richiede umiltà: senza l’umiltà, senza la capacità di riconoscere pubblicamente i propri peccati e la propria fragilità umana, non si può raggiungere la salvezza e neanche pretendere di annunciare Cristo o essere suoi testimoni. Questo comporta che la stella polare dell'opera di evangelizzazione deve essere rappresentata dalla figura di Maria, madre di Cristo: “ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché ha rovesciato i potenti dai troni e ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52.53)” (288). Di conseguenza, Francesco non cambia (né ha intenzione o facoltà di cambiare) la dottrina della Chiesa su aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi: più semplicemente, egli ritiene che l'annuncio evangelico debba concentrarsi “sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore”.

Nella scelta delle tematiche su cui impostare l'opera di evangelizzazione i cattolici sono dunque chiamati a  “trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo”. Non dunque una rivoluzione, ma una rimodulazione di comunicazione: necessaria, in un momento come questo, perchè i cristiani possano essere ancora “luce del mondo” e “sale della terra”.