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Ieri mattina sono andato al Centro Vaccinale di via Dina Galli, a Roma. E’ sotto uno degli enormi palazzoni con le torri alle Vigne Nuove, quelli - per capirsi - dove Verdone prendeva l’appuntamento con l’amico “sotto ar palo daa morte”, nel film “Un sacco bello”, prima di provare a partire per Cracovia. Sali una rampa di cemento armato, pensi di essere ancora fuori e invece sei già negli uffici della Asl. Lo capisci dai cartelli appesi al muro, ma sei in realtà ancora all’esterno, su un corridoio all’aperto (almeno è al coperto) sul quale si affacciano i corridoi degli ambulatori (ho trovato in rete una gallery sullo stato dei luoghi, che rende bene l'idea). Il poliambulatorio serve per le vaccinazioni i residenti di 6 municipi della capitale.

Cerco qualcuno a cui chiedere come si fa a prendere l’appuntamento per una vaccinazione, e dopo aver peregrinato un po’ avanti e indietro nel caos tra un ambulatorio e l’altro trovo un impiegato che vigila vicino a una macchinetta-totem che dovrebbe essere quella per prendere gli appuntamenti. Mi dice che da lì non è il caso di provare a prenotare, è già tutto pieno per oltre 75 giorni e la macchinetta non va più. Mi consiglia di scaricare l’app “tu passi”, che è l’applicazione gemella della macchinetta di cui sopra, ed effettuare la prenotazione con quella. “E’ facile, basta un minuto - mi dice - e prenota senza problemi”. Ripete lo stesso consiglio ad altri genitori che gli rivolgono la stessa domanda, nella ressa di mamme e bimbi in attesa, tra carrozzine e passeggini, il tutto in questo strano posto mezzo al chiuso e mezzo all’aperto. Ma pure d’inverno bisogna tenere lì i bimbi in attesa?

Torno a casa e scarico l’app, mi registro, eseguo il login, trovo - tra i tanti uffici sparsi per l’Italia ai quali è possibile prenotarsi grazie a questo dispositivo - il Centro Vaccinale di via Dina Galli e provo a effettuare la prenotazione: “servizio non disponibile” ripete l’app a ogni opzione tentata. Cerco il numero di telefono del poliambulatorio e chiamo. Quando non è occupato risponde un disco che dice, testuale: “Salve, in questo momento non possiamo rispondere alla sua chiamata e non è possibile lasciare messaggi. Provi a richiamare più tardi”. Grazie infinite, eh. Richiamo più tardi, e poi più tardi ancora, più di una volta, finché un’impiegata risponde. Le chiedo delucidazioni: sono venuto di persona a fare una prenotazione e un tale mi ha detto che posso farla solo via app, poi l’app non mi consente di fare la prenotazione, che gioco è?

- Eh, ma è tutto pieno fino a chissà quando, lei riprovi con l’app, magari a orari strani, tipo di notte. Se capita qualche disdetta il sistema le riassegna subito quel posto. Pensi che stamattina abbiamo trovato ben cinque posti riassegnati in questo modo...

Cinque posti, me’ cojoni! (lo penso ma non lo dico). E penso anche alle mamme che combattono di notte per un posto libero, con lo smartphone in mano. E anche all’impiegato che raccontava fregnacce agli utenti (“con l’app è facile, basta un minuto”, come no...) solo per spurgare i corridoi intasati. Intanto l’impiegata al telefono prosegue:

- Poi ogni giorno si liberano i posti dell’ultimo giorno...

Io balbetto che non ho capito, lei me lo rispiega meglio:

- Sì, il sistema può prenotare fino al massimo a settantasette giorni di distanza, quindi ogni giorno che passa si riaprono le prenotazioni per il settantasettesimo giorno, che mi sa che ormai è dopo ferragosto. Ma lei continui a provare, provi, vedrà che prima o poi…

Finisce la frase con un sospiro. Praticamente, un genitore dovrebbe passare i prossimi giorni/settimane/mesi tentando di prenotarsi con l’app, connettendosi nottetempo (sempre che sappia usare l’app, altrimenti dovrebbe andare lì di persona nei prossimi giorni/settimane/mesi) nella speranza che si liberi un buco. Tutta una questione di rapidità, a chi tocca tocca. Ripenso alla scena di “C’eravamo tanto amati” con la veglia notturna per l’iscrizione alle scuole elementari, nella Roma di fine anni ‘60. E’ la prima immagine che mi torna in mente, e mi viene da sorridere pensando a Stefania Sandrelli e Nino Manfredi con lo smartphone in mano, che tentano di fare il login sull’app per le prenotazioni, ma nella sostanza sempre lì, sempre in coda, cinquant’anni dopo, nel tentativo di fare quello che prima ancora di un obbligo sarebbe un diritto, all’istruzione primaria come alle vaccinazioni. Prima di riattaccare il telefono l’impiegata mi avvisa:

- Si ricordi che sopra i due anni il meningococco B non lo facciamo, deve andare dal suo pediatra, chieda se glielo fa a pagamento!

Ma come “se”? Diventa obbligatorio per andare a scuola e voi non lo fate? E poi, come farete a vaccinare tutti prima dell’apertura delle scuole, se già non c’è più posto praticamente fino a settembre? Lei sospira di nuovo.

- Ma no, quelle so’ le chiacchiere che scrivono i giornali, ma mica è vero ‘gnente, state tranquilli...

Tranquilli, sì.

@giordanomasini