Stadio Tordivalle

Nell’articolo 'Non fatela troppo facile. Promemoria radicale sullo stadio a Tor di Valle' il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi ha ricordato meritoriamente quanto aveva sostenuto in Aula Giulio Cesare durante l’esame della delibera sullo stadio della Roma ed in particolare gli ordini del giorno e gli emendamenti che, in quanto consigliere comunale, aveva presentato nel tentativo di migliorare e correggere quel provvedimento laddove appariva maggiormente lacunoso.

Quel che appare utile sottolineare è che il segretario radicale Magi, in quell’occasione, aveva anche segnalato al neo assessore all’Urbanistica ed alla maggioranza pentastellata - in quei giorni “unita” dall'hastag “#fattobene” – che l’ipotesi progettuale prescelta (quella senza le famigerate tre torri) non risolveva, anzi poteva aumentare, tutti i problemi e le incognite che la conduzione della complessa operazione amministrativa e la gestione dell’operazione immobiliare comportano.

Tra gli altri fattori, Riccardo Magi aveva segnalato la possibilità di interventi legislativi di modifica della scarna normativa di settore (i commi 303, 304 e 305 della legge 147 del 27 dicembre 2013) introdotti con lo scopo – dichiarato ma non necessariamente raggiunto – di semplificare ed agevolare il procedimento “aggiustandolo” alla luce della difficoltà che sono emerse o che sarebbero potuto emergere. Ed è esattamente quello che si trova nell’art. 62 del decreto legge n. 50 del 2017 (la cosiddetta manovra correttiva) con il quale si interviene sulla normativa vigente per stabilire, tra le altre cose, che il verbale conclusivo della Conferenza di Servizi decisoria “può costituire adozione di variante allo strumento urbanistico comunale”.

Senza cadere in eccessivi tecnicismi, è necessario che i parlamentari (e l’esecutivo che ha voluto questa norma) tengano ben presente non solo e non tanto che l’adozione della variante urbanistica dovrebbe essere fatta - come è previsto dalla normativa vigente che tra le altre cose non viene espressamente abrogata – dal consiglio comunale anche al fine di assicurare un’adeguata contemperazione degli effetti complessivi della variazione urbanistica, ma anche quanto contenuto nell’art. 1 comma 304 lett. b) della legge 147/2013 sulla quale si interviene.

I parlamentari devono tenere anche presente che il provvedimento finale della Conferenza di Servizi Decisoria – stando al citato art. 1 comma 304 della legge 147/2013 che resta invariato – “sostituisce ogni autorizzazione o permesso comunque denominato necessario alla realizzazione dell'opera e determina la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell'opera medesima”.

Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la normativa urbanistico-edilizia vigente nel nostro paese sa che un intervento edilizio – qualunque ne sia la portata – può essere autorizzato a condizione che sia conforme al cosiddetto piano regolatore, e che in tutti i casi nei quali l’intervento del quale sia stata ravveduta la pubblica utilità (per esempio un’opera pubblica ma non solo) non sia previsto dal suddetto piano regolatore, l’approvazione del progetto dell’opera (o del complesso di opere) determina un’automatica e contestuale variazione (il termine tecnico-giuridico è conformazione automatica) della disciplina urbanistica vigente.

In altre parole, nel momento in cui l’organo competente approva il progetto ed autorizza l’esecuzione dell’opera, varia il regime urbanistico in modo tale che tra i due atti (il piano regolatore vigente e l’autorizzazione edilizia all’esecuzione del progetto) non ci siano difformità. Ove non ci fosse la conformazione automatica del piano regolatore si finirebbe, infatti, per autorizzare l’esecuzione di un intervento edilizio non conforme al piano regolatore e dunque considerabile abusivo. Alla luce di questo ragionamento la modifica, per giunta non testuale, alla normativa sugli stadi contenuta nell’art. 62 comma 2 del decreto legge n. 50/2017, concepita probabilmente per risolvere ovvero per aggirare un rischio - la possibilità che l’assemblea a maggioranza pentastellata non proceda all’approvazione della delibera con la quale si adotta la tanto odiata variante urbanistica e rallenti ulteriormente l’iter - finisce per introdurre un elemento di grave ed ulteriore confusione dal punto di vista normativo e dunque della conduzione del procedimento amministrativo.

Se convertito in legge senza variazioni l’art. 62 del decreto legge 50/2017, la normativa sugli stadi da una parte prevedrebbe, in modo logico per le ragioni sopra esposte, che il provvedimento finale della Conferenza di Servizi consenta di dare il via ai lavori – ed è il motivo per il quale la regione Lazio ha reiteratamente chiesto al Comune di Roma di avviare le procedure urbanistiche di sua competenza e dunque di adottare la variante – e dall’altra stabilirebbe che il verbale conclusivo della medesima Conferenza di Servizi non rappresenterà la conclusione del procedimento, visto che potrà costituire “soltanto” l’adozione della variante urbanistica e dunque non potrà disporre, contestualmente, sia l’autorizzazione alla realizzazione del progetto sia l’approvazione, di competenza regionale, della variante urbanistica.

A tutto ciò si deve aggiungere che, sempre in base alle modifiche normative contenute nell’art. 62 del decreto legge n. 50/2017, il verbale conclusivo della Conferenza di Servizi – costituente adozione di variante urbanistica - verrà trasmesso al sindaco che lo sottopone all’approvazione del consiglio comunale nella prima seduta finale. Ma anche in questo caso non è chiaro se l’approvazione del verbale da parte del consiglio potrà costituire - in barba ed in deroga alla normativa in materia urbanistica che continua ad essere vigente non essendo stata espressamente abrogata e/o disapplicata – l’approvazione della variante urbanistica, sino a quel momento solo adottata, ovvero se la palla torni, non si sa bene come e con quali tempi, alla regione alla quale, come è noto, spetta il compito di approvare una variazione della disciplina urbanistica come quella che si rende necessaria per la localizzazione a Tor di Valle dello stadio della AS Roma.

Dal punto di vista tecnico si deve necessariamente sottolineare che spetterà alla Regione Lazio, oltre che all’amministrazione capitolina, cercare di entrare nel merito della portata e dell’efficacia di queste disposizioni, viste la mancanza di raccordi espliciti con la normativa di settore in materia urbanistica oltre che l’antinomia sopradescritta.

Quanto al merito politico, c’è da sperare che anche con l’aiuto tecnico degli uffici di Camera e Senato - e con il sostegno politico dei deputati pentastellati – i parlamentari comprendano bene i guasti di questo modo di legiferare ed il pasticcio normativo che si verrebbe a creare con la conversione in legge dell’art. 62 del decreto legge n. 50/2017, e conseguentemente provvedano ad abrogarlo, guardandosi bene anche da ogni ulteriore tentativo di introdurre ulteriori modifiche episodiche, dettate dalla contingenza e prive dei necessari raccordi con il quadro normativo connesso alla normativa vigente in materia di stadi.