zuccaro

Nella democrazia intossicata dalle fake news e dalle verità alternative, il “popolo” non è solo un bersaglio, l’oggetto inconsapevole di una strategia di condizionamento, ma è anche un soggetto attivo, un vero e autonomo protagonista della politica ai tempi del colera antipolitico.

Non è più obiettivamente sostenibile, nelle democrazie occidentali terremotate dal popolismo e particolarmente in una delle più diroccate, quella italiana, che la qualità del dibattito pubblico politico e giornalistico sui temi più controversi sia solo un prodotto dei media politici e giornalistici e non della potenza mediale della pubblica opinione in sé, della sua cultura, delle sue consuetudini, dei suoi pregiudizi, della sua – absit inuiria verbis – “qualità” civile.

La rappresentazione di un popolo pecorone disposto a bersi tutti gli abracadabra delle fattucchiere catodiche e digitali è semplicemente il rovescio delle teorie del complotto in cui il popolo stesso volentieri (e maggioritariamente) si rifugia per rubricare come colpa altrui un problema comune, per chiamarsi fuori dal gioco dell’ “a chi tocca?”, per dissociarsi dal peso e dalla responsabilità delle scelte passate e di quelle future.

Un’alternativa politica al popolismo dovrebbe partire da questa consapevolezza, che non è affatto colpevolizzazione moralistica (è il popolismo semmai a essere tanto moralista quanto intellettualmente – e non solo intellettualmente – corrotto) e neppure snobismo elitario, ma serio apprezzamento della relazione tra la qualità della democrazia e quella del demos che in essa si esprime, tra la politica vincente e la cultura politica prevalente. Storicamente, la transizione alla democrazia – dove questa transizione è avvenuta – è passata dalla socializzazione democratica delle masse e dove questa transizione per ragioni strutturali (cioè economiche, sociali, culturali) è fallita, anche la democrazia ha fatto default. A proposito di grandi centrali di verità alternative, è ad esempio il caso della Russia post-sovietica.

Ora, in un Paese (diciamo l’Italia?) in cui la maggioranza dei cittadini tende a credere che la maggioranza dei concittadini (per non dire degli stranieri) sia disonesta o immeritevole dei diritti o della posizione guadagnati è evidentemente un Paese in cui il “discorso democratico” tende irreparabilmente a deteriorarsi.

Le grandi crisi dell’Occidente – quella demografico-migratoria, la globalizzazione economica, la rivoluzione digitale della produzione e del lavoro… – insieme alla fine delle grandi narrazioni ideologiche novecentesche congiurano ovviamente a questo effetto contagio e al tumultuoso fuggi-fuggi degli elettorati spiazzati. Ma è inutile e inane una politica che si adegua a questo disordine e non mette in discussione nulla dei suoi sentimenti, provando solo a placarli, o a vellicarli o a sfruttarli.

Il caso dello “scandalo ONG” è paradigmatico del cul-de-sac in cui finisce imprigionata una politica corriva. Non c’è niente di vero, né di provato, se non la volontà (potente, insopprimibile, malsana) di una parte consistente dell’opinione pubblica di crederlo vero, di trasformare un fenomeno epocale e tragico in una mediocre Barconopoli, in cui anche i presunti buoni fanno lega con i cattivi, al servizio di plutocrati apolidi e spietati (in primis l’ebreo Soros, no?) e organizzano l’invasione dell’Italia dietro la maschera di un’attività umanitaria.

Tra i grandi leader politici, non ce n’è uno che non abbia concesso qualcosa, almeno qualcosa, a questo sospetto, pure escludendo quelli che l’hanno brandito come la prova regina del tradimento della Patria. Anche la dichiarazione di Gentiloni: “Le ONG sono preziose, ma se ci sono traffici si indaghi” è malamente difensiva, una conferma implicita di quella verità di cui l’ineffabile Procuratore Zuccaro si dice certo, anche se impossibilitato a provarla. Secondo quell’inversione della logica comune e processuale tipica dello scandalismo politico-giornalistico, proprio ciò di cui non è possibile produrre prova diventa il crisma di una verità inconfessabile e segreta.

Per fermare e invertire l’inerzia popolista della politica e della cattiva coscienza, e per aiutare l’opinione pubblica a emanciparsi da false credenze, bias cognitivi e dalla maligna innocenza della disperazione, i Vannoni vanno fermati prima, quando invece a furor di popolo si confezionano leggi ad hoc per le loro “verità alternative”, non dopo, quando anche i disperati hanno smesso di credervi. E questo vale anche per i Vannoni dell’immigrazione e dalle spiate sulle rotte dei disperati del Mediterraneo e sui taxi del mare.

@carmelopalma