DJ Fabo

La vicenda di dj Fabo ha impartito una dura lezione al legislatore italiano e ha chiarito, ancora una volta, quali siano le responsabilità della politica e i limiti dell'intervento legislativo rispetto alle questioni del fine vita.

Ci sono almeno tre aspetti che balzano agli occhi e che le Camere continuano a eludere in base al presupposto che sulle questioni eticamente sensibili relative all'autodeterminazione terapeutica sia preferibile non decidere e - in ogni caso - sia meglio non modificare un quadro giuridico anacronistico e ideologicamente legato ai principi del vecchio paternalismo medico, che non ammetteva alcuno spazio e alcun ruolo per la volontà consapevole dei pazienti.

Il primo aspetto riguarda la necessità di riconoscere che l'intervento medico, oggi, a differenza di pochi anni o decenni fa, è in grado di surrogare per lunghissimi periodi le principali funzioni vitali e quindi di "non fare morire" e "prorogare" la vita biologica di pazienti privi di una vita propriamente personale. Era questo il caso, ad esempio, di Eluana Englaro.

Il secondo aspetto attiene all'esigenza di riconoscere che il principio del consenso informato, che implica per i pazienti la necessità di autorizzare esplicitamente qualunque trattamento, da considerarsi altrimenti illegittimo, implica che gli stessi pazienti possano disporre anticipatamente il proprio consenso (o dissenso) a trattamenti futuri, qualora una condizione di incapacità impedisse la prestazione di un consenso (o di un dissenso) libero e attuale. Se i pazienti hanno il diritto di decidere sulle cure che sono loro prestate - qualunque cura, anche quelle considerate di mero sostegno vitale, come l'idratazione o l'alimentazione artificiale - a maggior ragione questo diritto va tutelato nelle condizioni di più estrema debolezza.

Il terzo aspetto è quello relativo all'estensione del principio del consenso non alla cura, ma alla vita stessa, quando il dolore fisico e la sofferenza psicologica legata a patologie terminali o irreversibili e gravemente invalidanti vengano considerati da un paziente insopportabili e la morte non possa conseguire - se non a prezzo di peggiori sofferenze - dalla mera sospensione dei trattamenti in corso, ma imponga un intervento o una cooperazione attiva da parte di terzi. È questo, se ho ben compreso, il caso di dj Fabo, che chiedeva esplicitamente che venissero interrotte le cure e di poter essere aiutato a morire; ed è stato costretto a cercare questo aiuto in un ospedale svizzero.

L'eutanasia cosiddetta attiva è quella che evidentemente suscita gli interrogativi più profondi tanto dal punto di vista giuridico, quanto da quello deontologico, ma mi pare altrettanto evidente che il rispetto della libertà dei pazienti, come elemento costitutivo della relazione terapeutica, non consenta di liquidare l'eutanasia dei malati terminali come una sorta di "omicidio in camice bianco".

Sulle questioni del fine vita, come su altre questioni altrettanto sensibili e problematiche - si pensi all'interruzione di gravidanza - l'equivoco più ricorrente è quello di ritenere che la responsabilità della politica sia di individuare un comune terreno di valori morali cui nessuno possa obiettare, e non quello di definire un uguale sistema di diritti, che riconosca a tutti un'identica e indisponibile libertà personale

Nelle società contemporanee la convivenza pacifica e reciprocamente rispettosa tra persone che professano valori moralmente diversi, quando non opposti, è garantita appunto dal principio di non coercizione. Anche sui temi bioetici, va fatto valere lo stesso principio, che rappresenta la sola bussola per una scelta saggia e ragionevole. Altre persone, nelle condizioni di dj Fabo, avrebbero fatto, altrettanto legittimamente, scelte diverse.

Sul fine vita, il compito del legislatore è quello di costruire un quadro giuridico in cui la libertà di tutti possa essere rispettata e adempiuta, anche quella dei "nuovi" dj Fabo di cui sono piene le corsie degli ospedali e le case delle famiglie italiane. Il diritto di coscienza, riconosciuto doverosamente ai medici, va riconosciuto ancora più doverosamente ai pazienti.

@bendellavedova