virginia raggi

Diciamoci la verità: ormai a Roma della politica non frega più niente quasi a nessuno.

Della politica e delle sue sedi, nelle quali parole come ascesa e caduta, successo e fallimento, fiducia e sfiducia assumono il significato che sarebbe loro proprio: quello legato ai progetti e alla loro realizzazione, alle misure per conseguire obiettivi, al confronto tra promesse elettorali e risultati di governo, allo scontro tra idee, visioni, punti di vista.

A Roma della politica non frega più niente quasi a nessuno: fin troppo spesso neppure a quelli che la fanno, sempre più protesi a proclamare la propria onestà e a sottolineare la presunta disonestà degli altri; e sempre meno inclini a rendere pubbliche, come sarebbe doveroso, le dinamiche che determinano il destino delle amministrazioni che si succedono nel tempo.

A Roma della politica non frega più niente quasi a nessuno: al punto che chi, come i Radicali, si ostina a porre questioni concrete, a voler discutere nel merito dei problemi, a confrontarsi sulle proposte di riforma piuttosto che sul candore vero o presunto delle fedine penali, viene sistematicamente marginalizzato, ostracizzato e spesso letteralmente ignorato.

Cadere per ragioni politiche, a Roma, è diventato praticamente impossibile: così com'è ormai impossibile, per i cittadini, comprendere quello che accade realmente, cosa che solo un dibattito pubblico ormai quasi del tutto dismesso potrebbe consentire. 
In questo vuoto pneumatico, cui fa eccezione solo la crescente prosperità delle congiure e delle faide intestine ai partiti, soltanto le vicende giudiziarie hanno la forza di sancire il successo o l'insuccesso di un sindaco; solo ai magistrati è rimasto il potere assoluto e insindacabile di decidere chi cade e chi resta in piedi: e non mi pare sia un caso, in un contesto nel quale la politica ha completamente abdicato al ruolo che le spetterebbe.

Dagli scontrini di Marino alle polizze assicurative della Raggi, e prescindendo dagli esiti delle rispettive indagini che naturalmente potranno essere molto diversi tra loro - e che a posteriori saranno comunque inevitabilmente insignificanti rispetto alle svolte irreversibili che avranno già determinato -, una cosa rimane certa: per sapere se un sindaco è destinato a cadere i cittadini non debbono aspettare la discussione di un provvedimento cruciale, lo scontro su una riforma o la mancata soluzione di un problema, vale a dire le conseguenze della politica, ma l'apertura un'indagine, l’invio di un avviso di garanzia, la pubblicazione di un'indiscrezione uscita chissà come da qualche procura. 

A Roma la politica è in coma. E se non torniamo a metterla al centro, restituendole il primato che è stato delegato quasi del tutto alla magistratura, questa città finirà per morire insieme a lei.