mizulina

La notizia non ha avuto molto risalto in Italia e già su questo ci sarebbe da discutere. Il Parlamento russo sta procedendo spedito nell’iter che porterà alla depenalizzazione della violenza domestica. Il relativo disegno di legge è passato in prima lettura alla Duma dopo essere stato presentato dalla deputata ultra conservatrice Yelena Mizulina, che presiede una commissione sulla famiglia e sulle questioni femminili e che salì agli onori della cronaca per la legge che vieta la “propaganda gay”.

Attenzione alla motivazione ufficiale, perché evidenzia il solco enorme che si sta aprendo fra l’Occidente e la Federazione russa. “Nella cultura famigliare russa, le relazioni fra genitori e figli sono basate sull’autorità genitoriale - ha affermato la deputata russa - per cui ritengo che la legge debba supportare tale tradizione”. “Le percosse all’interno della famiglia - ha proseguito Mizulina – dovrebbero costituire un illecito amministrativo “. “Non vorremo mica che per un ceffone si rischi di essere imprigionati e di venire bollati come criminali?”, ha concluso la deputata. 

La questione è inquietante, perché secondo le statistiche ufficiali russe circa il 40% dei crimini di violenza sono commessi all’interno della cerchia famigliare, circa 36.000 donne sono aggredite ogni giorno dal proprio partner e circa 25.000 bambini sono picchiati dai genitori ogni anno. 

Va detto che questa retrograda proposta di legge mira a togliere di mezzo un precedente intervento legislativo, avvallato dalla Corte Suprema e dallo stesso Presidente Putin, con il quale si era finalmente data rilevanza penale alla violenza domestica. Un intervento giudicato dai più troppo modesto, ma che comunque rappresentava un piccolo passo in avanti. 

Dal canto suo, la Chiesa Ortodossa, a proposito di estremismi, ha diramato un comunicato con il quale ha precisato che “se ragionevole e portata avanti con amore, anche la punizione corporale costituisce un diritto essenziale concesso da Dio ai genitori”.

La questione ci riporta diritti al rapporto fra tradizione e progresso, un rapporto che potrebbe intrattenerci per giorni e che non possiamo certo approfondire qui. Due cose, però, ci piacerebbe dirle. Citando due Papi. Quello fra tradizione e progresso è un rapporto che non possiamo giudicare antitetico. Invero, tradizione e progresso sono tali quando procedono nella stessa direzione.

Papa Giovanni XXIII definiva la tradizione come “il progresso che è stato fatto ieri” ed aggiungeva che “il progresso che noi dobbiamo fare oggi costituirà la tradizione di domani”. Un altro Papa, Benedetto XVI, ci ha ricordato che “I due concetti si integrano: la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso. Come a dire che il fiume della tradizione porta in sé sempre la sua sorgente e tende verso la foce”. Non importa, adesso, che per alcuni la foce sia rappresentata dalla società libera e per altri dal mistero profondo della fede. Importa ricordare che la tradizione è una realtà viva, in divenire, perché viva e in divenire è la natura dell’uomo. 

Il problema sorge quando il fiume della tradizione rifluisce all’indietro. Quando ciò accade non possiamo più parlare di progresso, e neppure di tradizione. Quando ciò accade ci troviamo di fronte ad un decadimento che può dare origine ad una vera e propria forma di eversione. Il caso russo è emblematico in questo senso, perché costituisce la rinnegazione di una recente conquista di civiltà. In un simile caso la tradizione non viene posta a guida del progresso, ma a suo carceriere. La tradizione si fa eversione pura.

Se il solco culturale che ci separa dall’ex unione sovietica si fa così profondo da risultare eversivo, abbiamo una sola possibilità come occidentali e, prima ancora, come cittadini europei: batterci affinché il fiume fluisca sempre verso la foce e mai in senso contrario. Vale per la violenza domestica, così come per il processo di integrazione del nostro bistrattato continente.