turchia golpe

I tragici eventi in Turchia ci servano, almeno, a rivedere alcune categorie obsolete. Le categorie in questione sono quelle di democrazia e libertà. In Turchia una parte dell’esercito (su ispirazione di chi, non lo sappiamo ancora) ha tentato di prendere il potere con la forza. Si è trattato di un colpo di stato nel senso classico del termine, un tentativo di instaurare un regime autocratico contro un governo democraticamente eletto.

Il colpo di Stato è clamorosamente fallito. Quel che ne è seguito non è il ritorno alla “democrazia”, per come la conosciamo noi, ma un bagno di sangue che non ha precedenti in un paese moderno. La purga avviata dal presidente Recep Tayyip Erdogan ha colpito arbitrariamente militari, magistrati, giornalisti, insegnanti e presidi, a migliaia, senza processi né garanzie. Peggio ancora: la “folla”, come avveniva nei regimi totalitari del Novecento, ha avuto mani libere per condurre esecuzioni sommarie, linciaggi e sequestri ai danni di golpisti o presunti tali. In molti casi sono stati giovani militari di leva a finire denudati ed esposti al pubblico ludibrio, picchiati, frustati, decapitati, ammassati nelle stalle come bestie. Una violenza simile non ha nulla a che vedere con una democrazia che si difende dalla tirannia. O no?

Il problema è, prima di tutto, nel linguaggio. Diamo troppo per scontato che democrazia e libertà siano sinonimi. Siamo abituati, dall’esperienza anglosassone, a trovare la democrazia lì dove c’è la libertà e la libertà protetta da governi democraticamente eletti. Non è sempre stato così. Il liberalismo nell’Europa continentale, ad esempio, come ci ricordava il politologo Fareed Zakaria nel suo “Democrazia senza libertà”, è nato e cresciuto sotto regni autoritari, in cui non era esercitato il suffragio universale. La democrazia liberale europea è cosa recentissima, se paragonata alla lunga storia del Vecchio Continente.

La democrazia, allo stesso tempo, ha portato al potere regimi totalitari. L’esempio più eclatante è quello di Adolf Hitler, che ha vinto regolari elezioni nel 1933. Non lo dobbiamo dimenticare, se vogliamo capire il presente. Libertà e democrazia sono due concetti distinti. Il liberalismo è, essenzialmente, la teoria e la prassi della riduzione del potere politico. E’ un limite posto allo Stato, per proteggere dal suo arbitrio i diritti fondamentali di vita, libertà e proprietà di ogni suo cittadino. La democrazia è invece un metodo di selezione del governo, con il voto popolare invece che con l’investitura autocratica (per mezzo della forza, della tradizione o di un “diritto divino”). La democrazia è stata considerata per più di mezzo secolo come il miglior antidoto al potere assoluto, proprio perché è un metodo non-violento di selezione delle élite. Ciò non toglie che esista sempre il rischio che élite violente, con programmi esplicitamente liberticidi, possano essere pacificamente scelte da una maggioranza.

La storia dell’ultimo quindicennio è la dimostrazione che la peggior minaccia alla libertà non sia più l’autocrazia, ma proprio la democrazia liberticida. Gli esempi già abbondano. Era democratico Hugo Chavez? Sicuramente sì: è stato eletto regolarmente nel 1998 e anche lui, nel 2002, ha dovuto sventare un tentativo di golpe. Era liberale? Assolutamente no: gradualmente, seguendo passo dopo passo il suo programma del Socialismo del XXI Secolo, ha trasformato il Venezuela in un regime totalitario, dove ogni libertà è conculcata e le proprietà sono alla mercé dello Stato-partito. E’ democratico Vladimir Putin? Certamente lo è: è stato eletto tre volte da ampie maggioranze di russi e ha anche rispettato la lettera della legge che gli vietava un terzo mandato, alternandosi con Dimitri Medvedev. Osservatori internazionali mettono in dubbio la regolarità del processo democratico in Russia, specialmente dopo il secondo mandato, nessuno però mette in dubbio che Putin sia sostenuto da una sostanziale maggioranza di russi. E’ liberale? Assolutamente no: in un quindicennio ha trasformato un paese in transizione dal comunismo alla società aperta, quale era la Russia di Eltsin, in una società chiusa, quasi totalitaria. Nessun diritto è più rispettato: né la libertà di religione, né quella di parola, né la proprietà (che è alla mercé del Cremlino e dei suoi alleati), né la vita stessa.

Erdogan, in Turchia, è solo l’ultimo esempio di come il tiranno venga eletto e sostenuto dalla maggioranza. La sua deriva non nasce da oggi, ma esisteva sin dalle premesse. E’ diventata esplicita con lo scandalo Ergenekon, nel 2011, un antipasto delle purghe attuali di militari, giudici e giornalisti in seguito a un tentativo di golpe (che allora era solo presunto). Poi sono arrivati i momenti bui della repressione della contestazione a Gezi Park, nel 2013. Infine sono giunti gli anni della repressione di curdi, sindacati e giornalisti. E adesso l’orrore di un regime avviato sulla strada del totalitarismo è sotto gli occhi di tutti.

Purtroppo di fronte a queste democrazie illiberali, le istituzioni che rappresentano le democrazie liberali dimostrano di non avere alcuna risposta pronta. Nella notte del golpe turco non hanno fatto altro che esprimere pareri tardivi. John Kerry e Barack Obama, a nome degli Usa, si sono limitati a parlare in difesa di un “governo democraticamente eletto”, unico criterio di legittimità nel linguaggio politico contemporaneo. Ora, di fronte a un governo “democraticamente eletto” che gronda violenza, non sanno ovviamente più cosa dire. La stessa difesa del governo “democraticamente eletto” è giunta dalla Nato per bocca di Jens Stoltenberg e dell’Ue rappresentata da Federica Mogherini. E adesso, cosa dire di fronte ai suoi crimini? Con che faccia la Nato potrà contestare alla Russia di non essere uno Stato di diritto e di minacciare la libertà in patria e all’estero? Con che faccia e su che basi, l’Ue potrà trattare la Turchia come un partner per risolvere la delicatissima questione dei profughi siriani, dunque su una questione di diritti umani?

Persa la bussola della libertà, della difesa liberale classica dei diritti individuali, anche le democrazie occidentali appaiono disorientate. E c’è solo da sperare che la minaccia della democrazia illiberale non bussi anche alla porta di casa nostra.