referendum energia nucleare

"Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidano entro tempi stabiliti?”

Questo è il quesito del referendum che nel 1987 ha bloccato il nucleare in Italia, insieme ad altri due, uno che abrogava i contributi di compensazione ai comuni che ospitavano centrali nucleari e a carbone e un altro che impediva ad Enel di partecipare alla costruzione di centrali all’estero. E’ stata semplicemente abolita la norma che permetteva al governo di scavalcare un comune che ritardava ad esprimere il parere sulla localizzazione di una centrale nucleare sul suo territorio, e sono stati disincentivati i comuni a concedere quel parere. Nessun “divieto di nucleare”, quindi: sarebbe bastato che un comune avesse dato parere favorevole nei tempi previsti, e nulla avrebbe potuto impedire la realizzazione di una nuova centrale.

Eppure, in virtù di quel referendum, non solo non sono state più costruite centrali nucleari in Italia, ma sono state addirittura smantellate quelle che c’erano, o che erano in costruzione (Caorso, Montalto di Castro, Trino Vercellese, Latina).

Questo per dire che il significato di un referendum abrogativo necessariamente travalica il dettato formale del quesito, conformandosi invece al senso politico che i promotori gli attribuiscono durante la campagna referendaria. Nel 1987 l’alternativa era tra Sì e No al nucleare, punto. Nessuno si sarebbe sognato di votare Sì a quel referendum se, pur favorevole al nucleare, desiderava modificare una norma che in una certa misura mortificava l’autonomia decisionale dei comuni.

Per la stessa ragione, oggi l’alternativa è tra rinnovare o non rinnovare le concessioni alle piattaforme che estraggono gas naturale e petrolio al di sotto delle 12 miglia dalla costa, fino all’esaurimento del giacimento. E’ quello che dicono i promotori del referendum, è di questo che si discute sui giornali e in TV, è su questo che l’opinione pubblica viene mobilitata. Votare Sì per fare in modo che le concessioni vengano rinnovate secondo una procedura differente da quella prevista dalla legge attuale, facendo leva solo sulla forma del quesito e non sulla sua sostanza, è solo una pia illusione. Come sarebbe stato illusorio votare Sì al referendum contro il nucleare solo per far riconquistare ai comuni il diritto di ultima parola sulla localizzazione delle centrali.

E’ proprio la “durezza” dell’alternativa tra il Sì e il No ai referendum a favorire la creazione di totem normativi che diventa impossibile - o quantomeno molto costoso politicamente - scalfire. C’è quindi solo un modo perché si possa tornare a discutere civilmente delle modalità del rinnovo delle concessioni, e passa per il non raggiungimento del quorum e il fallimento del referendum.

@giordanomasini