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Tra le tante leggende metropolitane che circolano in queste ore sul referendum del 17 aprile, ha avuto particolare risalto quella che pretenderebbe che un pubblico ufficiale che si esprime o fa campagna per l’astensione commetterebbe un reato.

Ad aprire le danze è stato Michele Ainis sul Correre della Sera di alcuni giorni fa, il quale citava due norme (l’articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali per la Camera e l’articolo 51 della legge che disciplina i referendum) che punirebbero l’astensione organizzata da parte di persone investite di pubblici poteri, a cui ha fatto seguito un esposto del Movimento 5 Stelle, e una recente iniziativa dei Radicali che avrebbero deciso addirittura di denunciare Renzi alla Procura della Repubblica di Roma per la posizione astensionista del governo.

Le cose stanno molto diversamente: l’articolo 98 della legge elettorale della Camera stabilisce che “il pubblico ufficiale, l'incaricato di un pubblico servizio, l'esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all'astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000”: L’articolo 51 della legge che disciplina i referendum, invece, semplicemente estende le stesse regole alle consultazioni referendarie.

I pubblici ufficiali che "abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse", costringano o inducano gli elettori, contro la loro volontà, a determinati comportamenti di voto, siano essi favorevoli, contrari o astensionisti. Nulla che si riferisca esplicitamente all’astensione, che non è affatto - in occasione dei referendum - una scelta meno legittima o meno “civica” delle altre. Siamo quindi di fronte a un divieto per tutti i pubblici ufficiali di fare campagna elettorale, in qualsiasi senso? Nemmeno per idea, grazie al cielo.

Quest’articolo non dice affatto che membri di governo, funzionari pubblici, eletti in assemblee legislative e quanti a diverso titolo forniscono servizi di pubblica utilità non possano fare campagna elettorale pro o contro un determinato partito o per una posizione di voto o di astensione su di un referendum. I casi sanzionati dalla legge sono di tutt’altra natura, e gli esempi possono essere innumerevoli. Un segretario comunale che ritardi l’emissione di un certificato richiesto da un cittadino, per indurlo a esprimere una preferenza per un suo amico, o un sindaco che condizioni il parere di una commissione edilizia per forzare qualcuno - in attesa di quel parere - a non votare per un avversario; un sacerdote che minacci di non battezzare un bimbo per indurre i genitori ad astenersi o a votare in un referendum, o un ufficiale dell’esercito che rifiuti di concedere una licenza a un militare, per impedirgli di votare. Ecco, questi sono tutti casi in cui un pubblico ufficiale, “abusando delle proprie attribuzioni o nell’esercizio di esse”, induce, commettendo un reato, degli specifici comportamenti di voto.

Ma se non c'è abuso di potere e violazione della libertà di voto degli elettori, tutti i cittadini - pubblici ufficiali compresi, e compreso il Presidente del Consiglio - sono liberi di promuovere una determinata scelta politica e di chiedere a chiunque di seguirla. A dimostrazione di ciò, basti pensare che da decenni in ogni consultazione referendaria tenutasi in Italia c'è stato un fronte composto da parlamentari e membri di governo impegnato in una campagna astensionista e ovviamente mai nessun Pm ha accusato, né alcun giudice condannato qualcuno per questa legittima condotta.

@giordanomasini

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