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Ricordate il federalismo? Un tempo se ne parlava ed un tempo fu anche approvata una riforma costituzionale a cui fu vagamente attribuita una connotazione federalista. Naturalmente non abbiamo niente, in Italia, che possa seriamente approssimare il concetto di federalismo; quello che abbiamo è poco più di un decentramento della capacità di spesa.

Non solo le nostre regioni hanno pochissima autonomia in campo economico e fiscale, ma non ne hanno praticamente alcuna sui temi “civili”. Anzi, è proprio sulle libertà civili e sulle questioni eticamente sensibili che il nostro paese presenta un impianto massimamente centralista. Che si parli di diritti dei gay, di eutanasia, di fecondazione assistita, di aborto, il concetto generale è che una certa scelta politica o vale per tutti - dal Cenisio alla Balza di Scilla - o non deve valere per nessuno.

Eppure i temi etici e civili sono proprio tra quelli che meglio si prestano ad un approccio federalista. Le scelte in tali ambiti sono, in effetti, in larga parte scelte culturali e quindi ha senso che siano prese al livello più basso possibile, perché in posti diversi la sensibilità della gente matura in modi ed in tempi diversi. Nei paesi realmente federali, come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e de facto anche il Regno Unito, certe decisioni si prendono a livello dei singoli stati o delle singole province e questo porta alla convivenza, fianco a fianco, di impianti normativi differenziati.

Se una discussione come quella che stiamo vivendo in questi giorni sulla Cirinnà fosse spostata a livello regionale sarebbe tutto molto più agevole, anche perché, qualunque fosse l’esito della discussione in questa od in quella regione, esso non potrebbe rivendicare un carattere di “assolutezza”. Ogni decisione sarebbe in concorrenza con quelle prese in altre regioni ed ogni parte politica dovrebbe accettare come legittimo il fato che in altre aree del paese prevalgano scelte differenti anche su questioni considerate come fondamentali. Per un paese che vive la politica come eterno “scontro di civiltà” si tratterebbe di un bell’esercizio di umiltà e di moderazione.

Ma che cosa succederebbe nella pratica se fossero le Regioni a votare sulle unioni e sulle adozioni per le coppie gay? Quello che possiamo aspettarci è che una posizione decisamente favorevole ai diritti dei gay possa prevalere in alcune Regioni. È ragionevole supporre che ciò potrebbe verificarsi per lo meno in Emilia-Romagna, territorio che vota a sinistra ed è storicamente gay-friendly. Non è inverosimile che dalle parti di Bologna ci sarebbe sull’argomento una maggioranza chiara. Insomma, non ci sarebbe bisogno di complesse mediazioni con alfaniani e catto-dem. Niente “unioni civili di serie B”, niente “adozioni del solo figliastro”, ma più semplicemente accesso dei gay al matrimonio ed accesso totale alle adozioni.

Le coppie omosessuali emiliane e romagnole avrebbero risolto il problema. Solo loro? Certo che no, perché anche gli omosessuali che vivessero in altre regioni potrebbero decidere di andare a vivere in Emilia-Romagna. Ovviamente non è detto che tutti lo farebbero, ma potrebbero farlo quelle coppie per le quali il riconoscimento pubblico della relazione e la possibilità di avere figli rappresenti un aspetto importante delle loro vite. Spostarsi per scelta di vita da Roma a Bologna può essere oneroso, ma è comunque fattibile; di certo è più facile che doversi spostare a Manchester o ad Eindhoven per perseguire il proprio progetto di famiglia, non fosse altro che per il semplice aspetto linguistico.

Le scelte delle varie Regioni sarebbero a tutti gli effetti in concorrenza. Se il matrimonio e le adozioni per i gay in Emilia-Romagna dovessero, un domani, generare davvero le conseguenze sociali devastanti nei confronti delle quali alcuni ammoniscono, allora emiliani e romagnoli potrebbero tornare sui loro passi e prendere esempio da veneti e calabresi. Qualora al contrario (e più probabilmente) il nuovo status dei gay in Emilia-Romagna non provocasse particolari sconvolgimenti, questo contribuirebbe a normalizzare il concetto di famiglia gay e renderebbe più facile approvare leggi analoghe in altre Regioni.

È grazie alla decisione decentrata che il matrimonio gay ha potuto espandersi rapidamente in America. Non è stato necessario convincere tutti gli Stati Uniti; semplicemente chi è stato pronto è partito e gli altri a quel punto gli sono pian piano andati dietro.

Semplice, vero? Quanto impossibile in Italia.