Bacio moto

In questi giorni Vittorio Sgarbi, in merito alla polemica sulla possibilità di tenere un gay pride a Venezia, ha lanciato l’idea di organizzare una manifestazione dell’orgoglio eterosessuale, un vero e proprio etero-pride.

La proposta di Sgarbi, per quanto abbia più che altro il tono della battuta agostana, presenta elementi di interesse e di originalità. L’idea di “contromanifestazioni” rispetto a quelle del movimento LGBT non è nuova di per sé, ma nel passato si è sempre trattato di raduni di ispirazione cattolico-tradizionalista miranti ad osteggiare ideologicamente la prospettiva di un riconoscimento legale delle unioni gay ed in generale dell’accettazione culturale dello stile di vita omosessuale.

La provocazione del critico d’arte è qualitativamente diversa. Non si tratterebbe di indire una manifestazione per protestare contro i diritti dei gay, quanto per difendere la libertà sessuale degli eterosessuali. Non si tratterebbe di criminalizzare la sessualità altrui, ma semplicemente di rivendicare e festeggiare la propria. Visto così, un etero-pride, più che una forma di opposizione al gay-pride, assumerebbe semplicemente la fisionomia di un’iniziativa parallela rispetto a quelle degli omosessuali. Insomma più che ostilità, al massimo una gioiosa concorrenza.

Peraltro, se si entra nell’ottica di una manifestazione “in positivo", ha davvero senso chiamarlo “etero-pride”? Oppure più semplicemente si potrebbe organizzare un evento senza particolari etichette a favore della libertà sessuale in generale? Evidentemente così come il gay pride può aver senso nella misura in cui si propone di contrastare specifiche discriminazioni legali o culturali nei confronti dei cittadini omosessuali, un etero pride avrebbe senso solo se individuassimo la presenza in politica o nella società di minacce specifiche ai diritti ed alla libertà degli eterosessuali.

Esiste oggi un qualche problema di giudizio negativo sull’orientamento eterosesuale? Esiste davvero l’eterofobia, per usare il termine coniato, nell’omonimo libro, dall’accademica statunitense Daphne Patai oppure stiamo semplicemente nell’ambito degli esercizi intellettuali? La domanda merita una risposta articolata. 

Se qualcuno va a cercare tracce di “eterofobia” nella società e nella cultura è ben difficile che le trovi nelle stesse forme in cui si presenta il sentimento omofobo. Sicuramente nel caso degli etero non siamo di fronte ad alcune delle tristi circostanze nelle quali si possono talora trovare i gay, dall’emarginazione dai processi di socializzazione fino a forme di bullismo e di violenza gratuita. E nemmeno ha senso sostenere che il processo di riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali rappresenti – come pure qualche “conservatore culturale” sostiene – un attacco ai diritti degli eterosessuali e della famiglia tradizionale.
 Le difficoltà delle famiglie tradizionali sono indotte da tante ragioni, non ultimo il declino economico del nostro paese, ma non hanno niente a che fare con il processo di riconoscimento delle unioni gay.

Di minacce ai diritti degli eterosessuali quindi non si deve parlare a sproposito; tanto meno lo si deve fare in maniera strumentale all’opposizione ai diritti degli omosessuali. Ma allora esiste oggi qualche specifica ragione per preoccuparsi, almeno in prospettiva, dei diritti etero oppure tutto procede assolutamente bene? Esiste, in realtà, almeno una minaccia culturale all’eterosessualità come stile di vita “ostentabile” e viene da quelle aree del femminismo che a più riprese hanno mostrato la loro sessuofobia.

In teoria la “liberazione della donna” avrebbe dovuto inserirsi in un quadro più ampio di liberazione della sessualità dallo stigma morale che ad essa è stata sempre associata.
 In realtà per molti versi, il femminismo, sul piano culturale, ha più spesso accompagnato un percorso di “trasferimento della colpa” associata al sesso dalle donne agli uomini. Quello che è avvenuto è che mentre si è incoraggiato nella donna un atteggiamento più assertivo sul piano sessuale, una determinata corrente di pensiero ha progressivamente colpevolizzato gli uomini per il proprio desiderio e per le modalità attraverso le quali questo si manifesta. 

Il vero problema è la “politicizzazione del sesso”.

L’atteggiamento che buona parte del femminismo ha nei confronti del rapporto eterosessuale discende da una trasposizione all’ambito della sessualità di alcune categorie proprie della riflessione economica marxista.
 In particolare la differenza di potere sociale tra uomini e donne farebbe sì che la relazione tra un uomo ed una donna sia intrinsecamente sbilanciata. In base a questa visione, in assenza di un rapporto autenticamente paritario tra uomini e donne, non si può assumere che il “consenso” della donna sia genuino, in quanto è sempre condizionato dai rapporti di forza. Gli uomini approfittano della debolezza sociale delle donne al fine di usarle per la propria soddisfazione.

Anche senza arrivare all’idea estrema di femministe come Andrea Dworkin e Marilyn French secondo cui “ogni rapporto è una violazione” e quindi “ogni relazione eterosessuale è stupro”, non c’è dubbio che il femminismo abbia difficoltà a concepire in termini neutri l’interazione sessuale tra uomini e donne. Ciò è evidente non solamente nell’intolleranza nei confronti di certi atteggiamenti maschili visti come “dominanti”, ma anche, in modo simmetrico, nei confronti di tutti quegli atteggiamenti femminili che sono visti come condiscendenti e quindi confermativi del potere sociale maschile.
 E’ in questo solco che si colloca la condanna femminista non solo della prostituzione, ma anche di tutti gli altri lavori – si pensi all’ambito della moda e dello spettacolo – nei quali si realizzi una sessualizzazione (e quindi un’oggettificazione) della donna a beneficio di un pubblico maschile. E’ un film al quale stiamo assistendo sempre più di frequente anche in Italia – si pensi all’ideologia di campagne come “Se non ora quando”.

Il percorso di altri paesi, come gli Stati Uniti ed il Canada, dove la cultura del “politically correct” ha portato negli anni a tentativi di controllare, regolare e codificare le modalità di interazione tra uomini e donne, specialmente nelle università e sui posti di lavoro, fa comprendere come la “libertà eterosessuale” sia un qualcosa che non può essere dato sempre per scontato

Dal punto di vista liberale, la questione è quella della libertà di ogni individuo di scegliere, senza che nessun censore possa pretendere di sostituirglisi in tale scelta. La libertà di espressione dell’eterosessualità deve essere difesa e non soltanto in termini puramente biologici - un uomo, una donna. Deve essere difesa anche la libera adesione a tutta quella “sovrastruttura” di tradizioni e riferimenti estetici e culturali che accompagna l’eterosessualità.
 Se è sbagliato affermare che il modello eterosessuale tradizionale rappresenti un modello più alto e nobile di altri, è un errore altrettanto grave ritenerlo moralmente inferiore solo perché più “vecchio”.

E se per difendere la possibilità di “ostentare” l’eterosessualità senza sensi di colpe è necessario organizzare ogni tanto, oltre ai gay pride, anche un etero pride, allora ce ne faremo una ragione.