Richard Allan, vicepresidente di Facebook in Europa, ha scritto una lettera al Financial Times in cui esprime serie preoccupazioni sulla piega che sta prendendo in Europa il dibattito sulle agenzie nazionali di protezione dei dati personali (DPA) e la loro relazione con il mondo del web. 

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Un dibattito che, a suo dire, minaccerebbe la tenuta stessa del Mercato Comune.

"Quando abbiamo stabilito il nostro quartier generale in Irlanda, cinque anni fa, abbiamo subito per mesi impegnative verifiche tecniche da parte delle autorità locali per la protezione dei dati, che hanno il compito di far rispettare il diritto comunitario in materia. Inizialmente, quando le autorità di altri paesi avevano preoccupazioni sui nostri servizi, hanno lavorato in accordo con il regolatore irlandese per risolverli. Questo è il modo in cui il diritto europeo dovrebbe funzionare: se un'impresa è conforme alle normative messe in atto nel suo paese d'origine, può operare in tutta l'Unione Europea. Ultimamente, però, alcune crepe hanno iniziato ad apparire in questo quadro normativo comune. I regolatori nazionali in un certo numero di paesi, tra cui Belgio e Paesi Bassi, sembrano avviato indagini multiple e sovrapposte su Facebook, riformulando le questioni fondamentali sul funzionamento dei nostri servizi. In effetti, questo segnerebbe un ritorno alla regolamentazione nazionale. Se si andasse in questa direzione, rispettare il diritto dell'Unione non sarà più sufficiente; le imprese dovrebbero rispettare 28 varianti nazionali indipendenti tra loro".

Allan continua facendo l'esempio di un costruttore di automobili che si trovasse costretto a rispettare normative differenti sulle specifiche tecniche dei veicoli in ognuno dei paesi europei, e su quanto un ritorno alla regolamentazione nazionale costerebbe ai consumatori, anche nel mondo digitale. La questione probabilmente non è semplice come la dipinge Allan, ma effettivamente dei punti critici ci sono.

L'Irish Data Protection Commission è accusata dagli altri paesi di essere piuttosto debole nella tutela delle regole in materia di trattamento dei dati sensibili, di avere a disposizione risorse troppo esigue (10 volte meno dell'agenzia britannica) nonostante in Irlanda abbiamo messo radici gli uffici europei di 29 dei 30 maggiori colossi del web, a cominciare da Google, Apple, Facebook e Twitter. Un problema che rischia però di essere usato come grimaldello per rendere l'Irlanda meno appetibile per le multinazionali del web, più che per rafforzare e rendere più efficiente la tutela dei dati personali: "se avessero scelto Parigi invece di Dublino – ha detto Dara Murphy, ministro irlandese per la protezione dei dati – non sentireste tutto questo clamore provenire dalla Francia". E a farne le spese, prima ancora di Facebook e compagnia, sarebbero le piccole imprese di tutta Europa che si avvalgono dei loro servizi, soprattutto pubblicitari.

Infatti la proposta di creare una sorta di mega agenzia europea, un istituto sovranazionale in grado di intervenire direttamente sulle legislazioni e sulle agenzie nazionali sovrapponendosi alla loro azione è stata giudicata non solo dagli irlandesi anche dagli inglesi come una formula eccessivamente lenta e burocratica, nella sostanza disfunzionale proprio per i compiti che si vorrebbe prefiggere. Nel frattempo, però, le agenzie di paesi come Francia, Germania, Italia e Belgio e Olanda hanno avviato indagini su Facebbok, e la DPA olandese ha chiesto a Google 15 milioni di euro di multa per violazioni della privacy.