I nuovi prodotti da inalazione senza combustione (e-cig e riscaldatori) possono essere irrazionalmente risucchiati nella disciplina fiscale e regolatoria delle “bionde”. Ma l’innovazione scientifica e la diffusione di device più sicuri per i consumatori costringe a innovare anche paradigmi giuridici vecchi e inadeguati, che si rivelano controproducenti sia dal punto di vista del gettito che della tutela della salute pubblica.

De Vitis

La recente e dunque ancor breve storia della regolamentazione dei prodotti da fumo a potenziale rischio ridotto propone un’ulteriore prospettiva dell’eterna asintotica rincorsa tra diritto e innovazione. Un’asincronia naturale, quasi genetica se pensiamo alla distinta velocità dei cicli di vita dei paradigmi scientifici e tecnologici da un lato e dei paradigmi giuridici dall’altro. Difficilmente il diritto anticipa, precede e preconizza l’emergere di situazioni supplementari e alternative. Non è del resto questa la sua funzione. Più spesso, invece, sono i progressi realizzati da ricercatori e imprese a smascherare lentezze e inadeguatezze del legislatore e dei decisori pubblici. Nascono così vuoti normativi, sanati poi non di rado con soluzioni mai definitive e doppiamente parziali, per deficit di completezza e competenza.

Curiosamente, come nel caso dei tabacchi da inalazione senza combustione e dei prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, il riconoscimento e la regolamentazione delle innovazioni parte frequentemente da ragioni ed esigenze fiscali, secondo il principio – inverso e perverso – del no representation without taxation, vale a dire “se non sei tassato non esisti”.

È così che nel 2013 nel Testo Unico delle accise (D.Lgs 504/1995, art. 62-quater) venne inserita l’imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo (art. 11, comma 22, D.L. 76/2013, convertito con modificazioni dalla legge 99/2013). Non un’imposta specifica e distinta, ma una sostanziale equiparazione ai tabacchi lavorati, con l’applicazione di una tassa di consumo del 58,5% a partire dal 1° gennaio 2014. Un’imposta, all’epoca, sui dispositivi, sulle relative parti di ricambio e sui liquidi.

Fino ad allora il tema delle sigarette elettroniche era stato affrontato solo con circolari e ordinanze del Ministero della Salute. Nel 2014, però, il legislatore nazionale con il decreto legislativo 188 ha nuovamente modificato il quadro fiscale per i prodotti alternativi. Per i prodotti da inalazione senza combustione costituiti da liquidi (a esclusione dei prodotti autorizzati all’immissione in commercio in funzione medica), cioè per le sigarette elettroniche, e per i tabacchi da inalazione senza combustione l’accisa prevista è in misura pari al cinquanta per cento di quella gravante sull’equivalente quantitativo di sigarette e all’equivalenza di consumo convenzionale, determinata sulla base di apposite procedure tecniche.

Le imposte relative alle sigarette elettroniche sono state sin da subito oggetto di ricorsi al TAR del Lazio, che li ha rimessi entrambi alla Corte Costituzionale. La prima è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta (sentenza 83/2015, anno in cui comunque l’imposta non era più in vigore dopo l’intervento del D.Lgs 188/2014). La Corte (relatore Amato) ha infatti bocciato l’“irrazionalità” con cui il legislatore aveva indistintamente assoggettato a un’aliquota unica e indifferenziata (il 58,5%) “una serie eterogenea di sostanze non contenenti nicotina e di beni aventi uso promiscuo”. Accise sì, dunque, sulle sigarette che vengono riconosciute come gravemente nocive per la salute, ma non indistintamente sul commercio di prodotti contenenti “altre sostanze”, diverse dalla nicotina, idonee a sostituire il consumo del tabacco, nonché dei dispositivi e delle parti di ricambio che ne consentono il consumo.

Seguendo la stessa ratio, potrebbe dunque essere bocciata anche la seconda imposta, su cui il TAR ha rimesso per la seconda volta la questione di legittimità alla Consulta, sospendendo l'imposizione prevista sui liquidi senza nicotina. Sulla questione si esprimerà a brevissimo la Corte Costituzionale (relatore sempre Amato).

L’esigenza di fare cassa, però, ha fatto carcassa e anche l’aggiustatina del 2014 ha registrato un flop. A fronte dei 115 milioni di gettito previsti nella relazione tecnica, lo Stato ne ha incassati poco più di cinque, una quota che, seppur pari a poco più del 4%, è bastata a scatenare una crisi rilevante tra gli attori del mercato.

Serve dunque una regolamentazione fiscale non solo saldamente costituzionale, ma anche proporzionata, ragionevole e non eccessiva, partendo da un presupposto finora ignorato dal legislatore e sottolineato dalla stessa Corte: il vaping è sicuramente meno nocivo del fumo tradizionale e va tutelato a prescindere dal suo ruolo succedaneo, o meno, rispetto alle sigarette classiche. La corretta struttura fiscale da applicare ai prodotti innovativi, sia sigarette elettroniche sia prodotti a tabacco riscaldato, dovrebbe essere quindi efficiente e in grado di incoraggiare innovazione e investimenti che mirino agli obiettivi di salute pubblica e rendere queste alternative accessibili ai fumatori, incoraggiando il passaggio dalle sigarette ai nuovi prodotti.

In tale contesto, i livelli di tassazione dovrebbero essere inferiori rispetto a quelli delle sigarette tradizionali e di ogni altro prodotto del tabacco a combustione. Ciò permetterebbe alle autorità fiscali di monitorare il mercato e gli sviluppi del prodotto ma anche di gestire diversi livelli di tassazione a seconda delle categorie di prodotto, le aspettative di gettito e gli sviluppi scientifici e sulla salute pubblica.

Tale differenziazione dei prodotti – presente e futura – non può portare a una frammentazione e specializzazione normativa interna al mondo del vaping, ma anzi deve costituire l’acceleratore per soluzioni legislative armoniche e univoche rispetto alle bionde tradizionali per tutti i dispositivi non a combustione. Se dunque sul fronte fiscale non si possono escludere eventuali necessari interventi in seguito all’attesa sentenza della Corte Costituzionale, più in generale la maturità legislativa del settore si è in questi ultimi anni accresciuta, emancipandosi da ragioni di cassa. L’Italia ha infatti raggiunto una posizione avanzata in Europa sulla regolamentazione di tali prodotti innovativi, con una classificazione di prodotto e fiscale coerente con la loro natura di prodotti “non da combustione”. Recentemente anche la Commissione Europea, nell’ambito della revisione della Direttiva Fiscale sui prodotti del tabacco 2011/64, ha posto, tra i temi oggetto della Consultazione Pubblica, la regolamentazione delle sigarette elettroniche e dei tabacchi da inalazione senza combustione, in quanto a oggi non esiste una legislazione armonizzata.

Certo, c’è voluta l’Europa. Fortunatamente anche la direttiva tabacchi 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio ha posto nuove basi per la regolamentazione del settore negli Stati membri, innanzitutto abrogando la direttiva 37 del 2001 e poi introducendo definizioni, indirizzi e prescrizioni di sicurezza e qualità sulle sigarette elettroniche e sui prodotti di tabacco di nuova generazione. Un apprezzabile passo in avanti perché mai come in questo caso il diritto sembra dare strumenti generali e soprattutto idonei per accorciare il distacco con l’innovazione. La notifica dei prodotti di tabacco di nuova generazione (art. 19) potrà aumentare la circolazione delle informazioni nuove o aggiornate sugli studi sui presunti effetti nocivi, sulla diffusione nel mercato e sulle preferenze dei vari gruppi di consumatori.

La direttiva non ha inteso armonizzare le norme relative agli ambienti senza fumo, né introdurre un limite di età per le sigarette elettroniche o i contenitori di liquido di ricarica, ma ha ritenuto opportuno normare la pubblicità delle sigarette elettroniche con un approccio restrittivo. Lo ha fatto chiarendo che la presentazione e la pubblicità di questi nuovi prodotti non dovrebbero condurre alla promozione del consumo di tabacco, né creare confusione con quei prodotti. Un segnale che molto ancora bisogna fare per far passare in maniera più netta il principio della distinzione tra prodotti vecchi e nuovi. L’Italia ha recepito nei tempi previsti la direttiva tabacchi con il D.Lgs 6/2016. In agosto si è esaurito – seppur con qualche ritardo – il processo di attuazione della notifica dei prodotti del tabacco di nuova generazione e sono state stabilite le procedure con cui il Ministero della Salute valuta le informazioni e gli studi utili a riconoscere la riduzione del rischio.

Sul versante della pubblicità il legislatore ha applicato letteralmente il contenuto della direttiva dopo aver manifestato orientamenti ondivaghi nel 2013. In estate, con il decreto legge 76/2013, convertito con modifiche dalla legge 99/2013, equiparò sigarette elettroniche e prodotti del tabacco rispetto non solo alla tassazione, ma anche alla pubblicità.

Qualche mese dopo, in sede di conversione di un decreto in materia scolastica e universitaria (n. 104/2013, convertito con modifiche dalla legge 128/2013), venne formulata una disciplina più articolata con parziali retromarce e diverse condizioni sulle sigarette elettroniche contenenti nicotina. La pubblicità venne infatti consentita, ma con dei limiti a tutela dei minori e con avvertenze sul consumo di nicotina e sul rischio di dipendenza.

Un affastellarsi di norme tale che nel 2014 un dossier della Camera sul D.Lgs 188/2014 evidenziò l’opportunità di un “chiarimento” per queste nuove tipologie di prodotto: sulle norme applicabili in tema di divieto di pubblicità, divieto di vendita ai minori e divieto di utilizzo nei luoghi pubblici.

Questo breve excursus fa emergere la serie di aporie e lacune, accanimenti e soluzioni che hanno segnato la regolamentazione del settore a livello nazionale. Molte di queste risultano il sottoprodotto di una ideologia di fondo che ha sottovalutato la potenzialità delle diverse innovazioni in termini di salute e di abbassamento del rischio. Molto probabilmente sarà di nuovo la scienza, con nuovi test ed evidenze ancora più forti e inequivocabili, a far avanzare il diritto, dissipando nebbie e fumi sulla non pericolosità di questi prodotti e spingendo la regolamentazione verso divieti più leggeri o quantomeno specifici, vincolati a un diverso paradigma di prodotto e a un nuovo orientamento di pensiero.

Serviranno forse tempo e un confronto istituzionale ancora più serrato non solo sui tavoli politico-legislativi, ma specialmente su quelli tecnici. Nel frattempo, lasciamo lavorare una filiera di imprese che ha creato prodotti innovativi, ma anche posti di lavoro e nuove opportunità di consumo. E una volta convinti della validità della loro funzione, non solo industriale, ma anche sociale, iniziamo a ragionare diversamente sullo schema di tassazione. Una volta per tutte, tutti una sola volta.

@micdv