Nessuna persona competente e ben informata può credere ancora oggi, alla luce delle prove scientifiche esistenti, che il vaccino mpr provochi l’autismo. Ma, come la stessa scienza dimostra, non siamo solo esseri razionali: non basta, quindi, elencare fatti e dati per (ri)conquistare la fiducia di pazienti e consumatori sempre più disorientati.

Villa puntura

Il termine che ricorre più spesso in Italia nel dibattito sui vaccini che sta incendiando nuovi e vecchi media in queste settimane è “obbligo”: da più parti si ripete che solo costringendo i genitori a vaccinare i loro figli, pena la mancata ammissione all’asilo nido, alla scuola dell’infanzia, o perfino alla scuola elementare, si potranno far risalire le coperture, mettendoci al riparo da gravi malattie tuttora circolanti, come pertosse o morbillo, o che potrebbero tornare, come poliomielite o difterite. Qualcuno addirittura invoca la sospensione della patria potestà per i genitori renitenti, o la minaccia di sottrar loro i bambini e darli in adozione.

Appena però si mette il naso al di là delle mura di casa nostra, si scopre che la parola chiave del dibattito sull’esitazione vaccinale è un’altra. Ovunque si parla soprattutto di “trust”, fiducia, la fiducia che una quota crescente della popolazione di tutto il mondo più ricco ha perso nei confronti della politica, delle istituzioni in generale, e in particolare delle autorità sanitarie. E di come rimediare a questo vulnus, all’origine del calo delle coperture.

Si parla di fiducia nel recente documento “Vaccination and Trust” dell’Organizzazione mondiale della sanità, che raccoglie le prove scientifiche attualmente disponibili su cui l’agenzia fonda le sue raccomandazioni. Si parlava di costruire un rapporto di fiducia nel titolo del documento che un paio di anni fa il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha dedicato alla “Comunicazione sulle vaccinazioni”, “Communication on immunization. Building trust”. “Building trust in immunization” è anche il titolo scelto dall’UNICEF per una serie di documenti guida su come stringere alleanze per migliorare le coperture vaccinali nei diversi Paesi del mondo.

Moltissime pubblicazioni scientifiche attribuiscono a questa diffusa perdita di fiducia il recente calo delle coperture vaccinali. Un fenomeno, è bene ricordare, che non è in nessun modo “tipicamente italiano”, come a volte si sente dire, né può essere quindi ricondotto alla scarsa preparazione scientifica degli italiani, al prevalere di una cultura umanistica, o alla carenza dell’insegnamento del metodo scientifico nelle scuole, dal momento che si verifica ovunque. Il problema, declinato in vario modo, riguarda tutto il mondo.

Ma da dove nasce questa perdita di fiducia nell’autorità costituita, che in politica suscita movimenti populisti e nel campo della salute alimenta ostilità nei confronti dei vaccini e simpatia per le “medicine non convenzionali”? Alla base ci sono fenomeni sociali complessi, che si stanno studiando.

Un fattore potrebbe essere il fatto che le masse, più scolarizzate di quanto siano mai state nella storia dell’umanità, non sono più disposte a delegare le decisioni alle élite, scientifiche, economiche o socioculturali che siano, con la stessa facilità di un tempo. Le persone vogliono essere informate, coinvolte e avere in voce in capitolo, soprattutto se si tratta della propria salute. E la possibilità che insorgano dubbi o si manifestino rifiuti è il prezzo da pagare, l’altra faccia di quell’empowerment dei cittadini e dei pazienti che si è perseguito a lungo, allo scopo di superare il paternalismo che tradizionalmente governava il rapporto medico e paziente.

Bisogna pentirsi di questo processo? Non credo. Ma certamente occorre governarlo, con strumenti e modalità ancora tutte da scoprire, anche alla luce dell’introduzione di internet prima e dei social network poi, che hanno disintermediato e rivoluzionato l’accesso alla conoscenza. La società in cui viviamo non è solo una post-truth society, secondo il termine definito parola dell’anno dall’Oxford Dictionary, ma anche, e forse di più, una post-trust society.

Per quanto riguarda il caso specifico, esemplare e sintomatico, dei vaccini, è senz’altro vero quel che si ripete sempre, cioè che questi farmaci sono vittima del loro successo. Hanno infatti allontanato dai nostri occhi malattie come poliomielite o difterite, che proprio per questo non fanno più paura. Non appena però appare all’orizzonte una minaccia che spaventa davvero, come le morti per meningite, o l’epidemia di ebola in Africa occidentale, le perplessità sui vaccini, o i sospetti sugli interessi economici delle case farmaceutiche che li producono, svaniscono come neve al sole. Si fa la coda per ricevere il vaccino o si impreca contro le aziende che non l’hanno mai messo a punto.

Ma non è tutto qui. A erodere la fiducia del pubblico nei confronti dei vaccini ha contribuito moltissimo anche la famosa bufala sul presunto legame tra autismo e vaccino mpr contro morbillo, parotite e rosolia, messa in piedi, con uno studio poi rivelatosi fraudolento, dal gastroenterologo inglese Andrew Wakefield. Non è un male che il paper, pur ritrattato da Lancet, che l’aveva inspiegabilmente pubblicato, sia ancora disponibile in rete, in modo che ognuno, perfino i non addetti ai lavori, possa rendersi conto della debolezza dei dati su cui furono sollevati quei sospetti: 12 bambini con disturbi dello sviluppo, in 8 dei quali i genitori segnalavano un’associazione temporale tra la vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia e la comparsa dei sintomi.

Otto bambini. Sono più di 95.000 quelli con fratelli maggiori autistici o sani, studiati in un lavoro pubblicato nel 2015 sul Journal of the American Medical Association, l’ultimo di una lunga serie che ha definitivamente smentito la falsa correlazione. Più di 1.200.000 quelli esaminati dalla metanalisi che l’anno prima ha passato al setaccio tutta la ricerca condotta per acclarare ogni dubbio su questo punto, con grande spreco di tempo e risorse. Eppure la gente continua a crederci. Perché?

Facile rispondere che le persone sono stupide. In realtà Wakefield ha scelto bene lo specchietto per le allodole con cui, per propri secondi fini economici, voleva screditare il vaccino mpr. L’autismo è una malattia di cui ancora si conoscono poco le cause e i meccanismi, che spaventa i genitori, che coinvolge le relazioni. A lungo si sono ingiustamente accusate le “mamme frigorifero” di rappresentarne il fattore scatenante, ed è quindi comprensibile la reazione di chi si attacca a una spiegazione che incolpa qualcun altro: lo Stato, i medici, le case farmaceutiche.

Non è razionale, certo, perché le prove scientifiche che assolvono i vaccini sono inequivocabili. Nessuna persona competente e ben informata può credere ancora oggi, alla luce delle prove esistenti, che il vaccino mpr provochi l’autismo. Ma non siamo solo esseri razionali. Le nostre convinzioni sono profondamente plasmate anche da fattori emotivi, dalla nostra esperienza personale, dai bias a cui nessuno sfugge. Dimenticare tutto questo e pensare che basti fornire una “corretta informazione scientifica” va paradossalmente proprio contro la scienza che ha dimostrato l’inefficacia di questo approccio.

Le autorità, poi, dovrebbero assumersi la loro parte di colpa per la sfiducia che il pubblico ha sviluppato nei confronti loro e delle vaccinazioni in particolare. Dopo il caso Wakefield, c’è stato un altro importante fenomeno globale che ha dato una pesante spallata alla loro autorevolezza. Nel corso della pandemia influenzale da virus A (H1N1) del 2009, la cosiddetta “suina”, si fecero clamorosi errori di gestione e comunicazione, che si stanno studiando ancora oggi. Ci furono mancanze in termini di trasparenza che gettarono l’ombra di possibili conflitti di interesse sulla dichiarazione e la gestione della pandemia. Ma soprattutto non si ridimensionò l’allarme iniziale, giustificato dall’alta letalità che sembrava emergere dal focolaio messicano, alla luce dell’andamento meno grave della malattia che man mano si confermava, nei mesi seguenti, nella maggior parte delle persone colpite.

Viceversa, in Italia, si scelse la strada della rassicurazione paternalistica, con un testimonial come Topo Gigio e lo slogan: “L’influenza A è una normale influenza”. La campagna riuscì a prendere due piccioni con una fava, banalizzando in un colpo solo sia l’influenza stagionale sia quella da H1N1, che riuscì così a fare le sue vittime, “poche”, per fortuna, più o meno quelle di una “normale influenza” ma per lo più giovani e precedentemente sane. Centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo, parte dei quali, ammalatisi dopo l’arrivo del vaccino, si sarebbe potuta salvare. Ma come si poteva poi pensare, all’arrivo del vaccino, di convincere le persone a farselo somministrare, se era stato tutto un falso allarme? Insomma, un pasticcio, di cui in parte paghiamo ancora oggi le conseguenze.

Ecco perché sono importanti la trasparenza e l’onestà della comunicazione, senza gonfiare i dati o presentarli in modo da enfatizzarli. Per questo bisogna avere il coraggio di ammettere francamente l’incertezza, quando ci sono aspetti di cui ancora non si può essere sicuri. E occorre usare cautela e gradualità nell’introdurre cambiamenti importanti nel calendario vaccinale, se c’è il rischio che il pubblico li percepisca come indirizzati dalle aziende farmaceutiche.

Con le emozioni delle persone, con la loro percezione del rischio, tanto più se si tratta dei loro bambini piccoli, non si può agire con leggerezza. È pericoloso gridare “al lupo, al lupo!”, invocare gravi emergenze e ricorrere a mezzi estremi al di fuori delle crisi, quando ci sarebbe tutto il tempo per interventi mirati, che comprendano potenziamento dei servizi e del personale, programmi di offerta attiva e facilitata, campagne di comunicazione mirate agli operatori sanitari prima ancora che ai genitori. L’effetto boomerang potrebbe essere un’ulteriore perdita di fiducia nelle istituzioni, che davvero non ci possiamo permettere.