Wojtyla è sempre stato ieratico e monumentale. Nella forza e nella debolezza è stato fisicamente la metafora della potenza e santità della Chiesa. Bergoglio è il campione del gesto “fuori sede”, dell’azione incidentale e della noncuranza dei codici istituzionali. Due linguaggi del corpo al servizio di due idee diverse della Chiesa e del papato.

linguiti wilpapa sito

Il carisma… la logica prima della pervasività. Questo ha carisma, quell’altro non ha carisma. Ma cosa vuol dire “carisma”?

Carisma non vuol dire “fascino” e non ha nulla a che fare con esso. Può voler dire “grazia”. O almeno questo è il significato etimologico della parola. Una parola complessa, piena di applicazioni, spesso usata fuori luogo. Ma nel linguaggio comune cosa vuol dire?

Nelle scienze sociali è stata introdotta da Max Weber per indicare il complesso delle facoltà e dei poteri straordinarî che una persona possiede e che le vengono riconosciuti all’interno di un gruppo religioso, culturale o economico, o nella società, consentendole l’assunzione di un ruolo direttivo. Ma nel linguaggio religioso – dove vive il significato primo della parola, del concetto – il carisma è appunto una grazia intesa come dono elargito da Dio.

Nella teologia cristiana il termine indica o la semplice grazia santificante infusa a tutti i credenti col battesimo - anche come sinonimo di sacramento in genere - o, in senso stretto, un dono soprannaturale straordinario concesso a una persona a vantaggio della comunità, come ad esempio il dono dell’infallibilità o la virtù profetica o la possibilità di operare guarigioni miracolose.

Come possiamo identificare il carisma?

Prima di tutto possiamo dire che il carisma è sempre non verbale. Non è – mai – ciò che si dice, ma come lo si dice. Il carisma è l’emersione di un contenuto interiore attraverso i gesti, gli sguardi, i movimenti, i toni della voce, la voce. È un moto dinamico: il carisma è l’azione nel senso dell’agire. Le parole non contano o contano poco, la verità carismatica è nell’effetto che le parole, se ci sono, possono produrre nella massa mediante il gesto; stiamo insomma parlando di corpo e di azioni – quando corpo, azione, mente e spirito diventano un tutt’uno espressivo, un contenuto che viene assunto, dal prossimo, in quanto verità.

Il carisma non è, quindi, un apparato esteriore come lo è il fascino, che rispetto al carisma è una cosetta, ma è un predicato interiore – un’essenza che ha infinite possibilità di emersione. Ecco, il carisma ha molte facce.

Prendiamo ad esempio due figure della nostra storia che il carisma lo hanno inverato appieno, prendiamo ad esempio due Papi: uno non c’è più, Giovanni Paolo II, l’altro è al suo fulgore, Papa Francesco. È interessante osservare come il loro carisma sia determinato da sostanze per certi versi diverse.

Il Carisma di Giovanni Paolo II era ieratico, ed ha avuto tre fasi diverse. La prima fase è stata quella dell’assunzione al ruolo. La fase del corpo forte, bello, del corpo combattente, del Papa guerriero contro il comunismo e contro i nemici “esterni” della Chiesa.

La seconda fase è stata quella della certificazione. La fase del corpo stabile, immoto, assoluto, mattone apicale dell’arco fondante della Chiesa.

La terza fase è stata quella della sacralizzazione. Del corpo metafora vivente simbolica della santità, del fardello, dell’accettazione del dolore come carico di esperienza e di condivisione interiore.

Ma, pur attraverso queste tre fasi, il suo gesto è sempre stato – volendo andare per riduzioni – un gesto progettuale, un gesto simbolico, un gesto progettualmente simbolico.

Giovanni Paolo II si compiva nella ieraticità del ruolo. I suoi “segni” di comunicazione erano parte di un complesso dizionario che potremmo definire il codice dell’istituzionalizzazione del ruolo e dell’atteggiamento. Il suo fare era compiutamente monumentale nel senso che rimandava ad una dimensione codificata della Chiesa Cristiana in quanto istituzione al di sopra del prossimo e che, allo stesso tempo, trascende il prossimo. La Chiesa lì – visibile – costruzione perfetta – fatta di uomini ma altra rispetto ad essi – una visione sublimata di comunità nel senso di comunità “ideale” e “idealizzata”. Quel Papa, straordinario certo, ad ogni suo gesto ed azione, voluta o incidentale, rimandava ad una idea canonica e canonizzata di Chiesa, ad una sua funzione “assoluta” che rimandava a sua volta ai predicati costitutivi e storicamente retoricizzati della Chiesa.

Se il Papa prendeva un bambino in braccio era – consapevolmente – “un Papa che prende un bambino in braccio”. Se scendeva la scaletta dell’aereo era evidentemente “il capo della comunità cattolica compientesi nella Chiesa Cattolica che scende dall’aereo”. Il suo bacio era “papale”, così come la sua premurosa carezza o la sua straordinaria posa confessionale con Alì Agca. Era una, era la grande metafora dell’architrave della Chiesa. In termini laici il Papa non era metafora regnante, ma imperante.

E poi nell’ultimo atto della sua vita la grande, straordinaria, metamorfosi. Giovanni Paolo secondo si invera nell’icona materica, in carne ed ossa, spirituale, della sacralità. Il suo corpo, nel suo piegarsi e distorcersi a causa della malattia, diventa e si compie in una sinfonia mistica. La potenza dei suoi gesti - minimi, doloranti, gravi - diventa la materializzazione dell’accettazione in stato di grazia della sofferenza come prova da accettare e da condividere. Il suo corpo diventa un corpo cristologico (come lo sono i corpi della santità) che si dà in pasto alla comunità come nutrimento interiore, corpo eucaristico, eucarestia vivente. Non un corpo semplicemente iconico – come lo sono tutti i corpi massmediatizzati – ma un corpo icona, e, oltre ancora, un corpo testimoniale delle ragioni più intimamente simboliche della cristianità.

Carisma assoluto, dunque, quello di Giovanni Paolo II. E quello di Papa Francesco?
Ecco, prendiamo tutti i predicati, le formule, le forme, gli indici simbolici e le modalità del carisma di Papa Wojtyla, ribaltiamoli, e troveremo le ragioni di un carisma altrettanto potente e “vero” ma assolutamente opposto, ossia, il carisma di Papa Francesco.

Il carisma di Papa Bergoglio è - mi si perdoni la frasaccia - l’equipollente inverso del carisma di Giovanni Paolo.

Francesco nei suoi gesti e azioni, nel suo non verbale, nella sua corporalità è l’anti-istituzione. Non è architrave, non è monumento, non è imperatore della cristianità, non è né corpo eucaristico, né simulacro sacrale, ma è sempre, in ogni suo gesto o movimento o atteggiamento, tre gradini sotto al palco, giù dal trono, via dalla parete, svestito dai paramenti, senza armatura, il suo è un gesto fuori sede.

Compie la sua missione da uomo tra gli uomini. Se bacia un bambino è un uomo, uomo come il prossimo suo, che bacia un bambino, ed il fatto che in realtà sia Papa – il Papa – crea a livello cognitivo, in chi lo osserva, quella straordinaria meraviglia distonica che rende esemplare, simbolico e “rivoluzionario” il suo gesto. La rivoluzione non sta nel fatto che l’Uomo si fa Papa, ma nel fatto che il Papa si fa Uomo.

Il carisma di Papa Francesco sta nelle sue scarpe da lavoro, nella sua cartella porta documenti e nel modo prosaico in cui la porta in giro; nella totale noncuranza dei codici istituzionalizzati e retoricizzati; nell’esser passato dallo stato “umano” meramente umano a quello simbolico “papale” senza alcun evidente elemento di modificazione, traduzione simbolica, discontinuità negli atteggiamenti. Tal era, tal è, ma in più adesso è Papa. Tal era, tal è, tale è rimasto nella comunità. È quello che, con una parolaccia massmediologica, potremmo definire un “Papa diffuso”. Visibile ma confuso nella comunità e quindi, simbolicamente, non “calato” sulla comunità, ma espressione della comunità.

Certo, Bergoglio è espressione di costrutti culturali tipici della teologia e della simbolicità sudamericane, ma non è solo questo – è la presa (ripresa) in carico di una versione nuovo testamentaria che paradossalmente è tanto costitutiva del cristianesimo quanto dimenticata nelle prassi ecclesiali.

Un Papa il cui carisma è nell’antiretorica (che ovviamente a sua volta diventa un modello, quindi può diventare una nuova retorica) e un Papa che da un punto di vista carismatico della sua espressione non è progettuale, ma incidentale. Non appare come frutto e dimostrazione di un teorema precostituito o istituzionale, ma come una espressione quotidiana che nel suo manifestarsi si fa, incidentalmente appunto, teorema.

Carisma inverso rispetto a quello di Giovanni Paolo. Ma molto più temuto dai nemici della Chiesa, che sono sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Per loro tutto ciò che non è conservativo è pericoloso, tutto ciò che è dinamico ed estensivo è destabilizzante, tutto ciò che non certifica la lontananza della Chiesa dalla quotidianità è mortale.

Ecco cosa può essere il carisma nella sua varietà. Ecco la difficoltà di poterlo ridurre ad un qualcosa di univoco.